Tuesday 13 November 2007

E ALLA FINE...


...ecco il monologo. Non c'è molto da dire. Era da un pò che non pubblicavo più nulla di simile. Ed ero pure scettica sul farlo o meno adesso. Alla fine mi sono convinta. Del resto, non ho nulla da perdere.

ALPHA E OMEGA

Buio. Una tenue luce illumina un cancello abbastanza ben tenuto, di un cimitero di città. Vicino all’ingresso principale, illuminate da una forte luce di lampioni, le belle tombe dei benestanti, alcune pompose, altre più sobrie ma sempre altisonanti. Al buio, o malamente illuminate, le tombe dei modesti, dei “pezzenti”. Fredde, spoglie, abbandonate. Un raggio di luce sporco illumina, per pochi secondi, una tomba fredda e abbandonata, gettata malamente sul terreno dove vengono sepolti morti di fede musulmana. Una tomba fredda, spoglia, coperta di sporco. Se non si sapesse che il terreno per le sepolture dei morti appartenenti ad altre religioni è una conquista recente, si direbbe che quella tomba sia li da secoli.
La luce si spegne. Buio. Quando si riaccende accanto alla tomba spoglia c’è un uomo. Le rughe precoci solcano il suo viso. Sembra abbia quaranta, quarantacinque anni. Eppure quando è morto ne aveva solo ventinove. Indossa una tuta blu, più grossa di lui. Un numero di serie impresso sulla destra, sopra il taschino. È un’uniforme carceraria.

(L’uomo alza gli occhi alla luce sporca) È la mia tomba. È qui da solo due anni eppure sembra qui da secoli. E che nessuno ci passa volentieri, davanti alla mia tomba. I viventi la osservano con un certo disprezzo. Anche perché io faccio parte della parte “nemica”, quella appartenente ad un’altra religione (sospira). Voi non avete idea della lotta feroce a suon di parole e insulti che il capo religioso della città ha ingaggiato per ottenere questo fazzoletto di terra per i morti. Cinque anni di lotte. Poi finalmente ha vinto. Quasi fosse una concessione misericordiosa, però. Ed eccomi qui, a volte pure schifato dalla mia stessa gente. (sospira ancora). Ma che ci posso fare? Mica posso traslocare! (ride).
Buio. Si sentono solo dei passi trascinati. Poi la luce illumina ancora l’uomo. È di fronte ad una tomba monumentale, tutta di marmo bianco. Un busto bianco rappresenta un uomo altisonante nella sua imponenza. Sotto il busto una scritta: ottimo padre e marito, difese i deboli e i poveri.

Eh si, era un brav’uomo. Beh, se tutti lo amavano doveva essere così. La gente non ama i cattivi. Era un giudice. Ha mandato a morte decine di condannati. Quasi tutti poveri diavoli provenienti zone più povere e devastate del pianeta. Spesso per colpe da loro non commesse. L’ultimo di questi, un tunisino ventenne, lo ha mandato a morte perché accusato di essere entrato in casa di una donna e di averla prima brutalmente violentata e poi massacrata con un sasso. Alla fine si è saputo che quella donna non solo non era mai stata violentata, ma non era nemmeno stata massacrata. E non era nemmeno a casa sua. Ubriaca, si era inavvertitamente gettata giù dal balcone di un hotel dove era in trasferta come guida turistica. Ma hanno dato la colpa a lui perché è stato l’ultima persona a stare insieme a lei. Il giudice non ha avuto dubbi: era colpa sua. Sporco arabo stupratore! (ride) Lo sapete, i media hanno volutamente ignorato il referto del medico che negava la violenza sessuale e il presunto massacro. Il referto era arrivato sul tavolo del giudice in tempo, ma non era stato letto. E lui, per non perdere la faccia e per non doversi scusare con un tunisino, ha negato il tutto. (ride). Mi viene da ridere. E riderei di gusto, se questo caso non assomigliasse al mio… Il giudice… (silenzio) È morto in pace, il giudice. Nonostante la sua colpa. Non l’ha mai considerata tale. Si è sempre giustificato. Del resto, credo che nessuno qui lo accuserebbe mai di omicidio volontario (ride nervosamente).
La luce si spegne. Si riaccende davanti ad un’altra lapide pomposa. Quella di un dirigente di una grande casa automobilistica. A fianco, una tomba modesta.

Si chiamava…com’è che si chiamava? Albert. È scritto qui. Lavoratore instancabile. L’ho conosciuto. Ogni tanto fa due passi nel cimitero. Ha lavorato per trent’anni come operaio, poi è andato in pensione. Non ha mai riscosso un solo centesimo di pensione. È morto due giorni dopo il suo pensionamento. Di infarto. La moglie ha speso tutti i suoi soldi per seppellirlo qui, in questo campo e adesso il signore per bene qui a fianco vuole farlo sloggiare perché un “gentiluomo” come lui non può riposare accanto al marciume di un pezzente. Testuali parole. Ogni tanto, questo signore, lo si sente imprecare nel silenzio del cimitero. Lo si sente lamentarsi in modo fastidioso. L’imprenditore, se non ricordo male, era uno dei maggiori venditori d’armi in Africa. Ha contribuito alla morte di migliaia di innocenti. Eppure è rispettato e venerato come un santo. Andava tutte le domeniche a messa. Chissà come si giustificava davanti all’Onnipotente. Forse diceva che non era colpa sua, che era per il bene dell’umanità che…ma non sono affari miei! So solo che ha ricevuto funerali solenni!

La luce si spegne. Per qualche secondo si sente solo il silenzio e il soffiare implacabile del vento. Poi dei passi lenti e cadenzati. Suonano inquietanti, quei passi, nell’oscurità più totale. Quando la luce si riaccende troviamo l’uomo vicino ad un cestino della spazzatura, pieno di fiori marci e boccioli putrescenti di rose che non erano destinate a sbocciare.
Cosa c’è qui dentro? (fruga nel cestino). Fiori secchi. Boccioli di rosa. Un libro strappato. (lo prende in mano). Sapete, so a malapena leggere. A volte penso di non ricordarmi nemmeno più come si fa. Io, fin da piccolo, non ho mai conosciuto un sol giorno di pace. Non avevo tempo per studiare. In cambio, però, ho avuto tanto tempo per piangere di disperazione. (ride nervosamente).
Un fascio di luce molto forte inquadra la copertina strappata del libro, mentre l’uomo rimante totalmente al buio.

Allora…(il suo viso entra nel fascio di luce) cosa c’è scritto… (stropiccia gli occhi e si avvicina alla copertina fino a quasi toccarla con la punta del naso) Non si legge niente. (solleva il viso dalla copertina e guarda nel vuoto, con occhi vitrei) Chiunque lo ha scritto, uomo o donna, sapeva scrivere. Era acculturato. Aveva studiato. E’ così bella la cultura. Così forte e liberatrice! Quanto mi sanguinava il cuore, quando ero vivo, a sentire certe persone che sputavano gratuitamente sulla cultura dando importanza ad attricette molto meretrici e a palestrati con il cervello di un gallo ancora chiuso nel guscio dell’uovo! (ride) Se solo quella gente avesse vissuto anche un’ora come ho vissuto io per più di vent’anni, tra fame, violenze e stenti. Se solo avesse veramente saputo…avrebbe capito quanto la cultura sia liberatrice e importante. Sia…si dice così vero? Scusate la mia ignoranza. L’uomo colto invece… L’uomo colto è libero. E non sbaglia a parlare. L’uomo ignorante è schiavo. Ed è sottomesso da tutti(sospira). Mi domando di cosa poteva parlare questo libro. Io qui vedo solo una copertina sbiadita persa da chissà chi, e poche pagine strappate. Che possono dire tutto come dire niente. (sospira) Delle pagine strappate gettate in un cestino, con i fiori marci. Come la mia vita. incredibile, ho creato una bella immagine.
(sospira) Lo ammetto! Mai mi permetterei di negarlo, sarei un ipocrita. Io ho commesso un errore. Ho fatto una cosa spregevole che nella mia religione è punita con il taglio della mano. Eppure mi hanno accusato di tutt’altro. Di cose che mai mi sarei permesso di farlo. Sono morto, come dire, per “errore”. Ma mica tanto, alla fine. Me la sono andata a cercare io. Non avevo capito, che cretino, che per uno come me anche il reato più piccolo poteva diventare il più grave del mondo. Specialmente se poi i giornalisti lo “aiutavano” un pochettino. (ride) La gente ascolta troppo delle persone che amano ingigantire i fatti. Ma chi sono io per criticarli? Lo spirito di un poveraccio, un immigrato semianalfabeta, che ha commesso un reato non gravissimo, ma che è morto per uno grave non commesso.
Buio. La luce poi illumina, potentissima, un insieme di tombe, tutte in ottime condizioni.
Gentile pubblico! Come sono maleducato! Non mi sono presentato. Mi chiamo Osama. Si, come Bin Laden. Ma io questo signore non lo conosco nemmeno. E se dovessi un giorno conoscerlo, avrei ben molte cose da domandargli e da rimproverargli, lui che si dice tanto uomo religioso, ma quale uomo timorato di Allah permetterebbe una simile e inutile strage? A volte, anzi quasi sempre, mi domando quale dio queste persone, questi “potenti” e questi “ricchi” adorano. Non certo l’Allah che io ho sempre pregato fin da piccolo. E quali principi seguono? Non quelli che mi hanno insegnato mia madre e mio padre, bravissima gente. Non so esattamente cosa preghino queste persone. E non mi interessa saperlo. Ho capito solo che esitono diversi modi di concepire la moralità, e la moralità dei ricchi è quella universalmente accettata (Fissa con gli occhi sbarrati il suo pubblico di marmo). Signore e signori, bambini e bambine, devo raccontarvi una storia, anche se non è molto piacevole. Certo, molti di voi preferirebbero una storiella leggera ma…(ride) non ne conosco nemmeno una. E non sono capace di raccontare storie leggere. Vi racconterò la mia storia, quindi. State comodi, anche perché non credo che possiate essere tanto scomodi, visto che tutti voi assaggiate l’erba dalla parte delle radici, ma comodamente sdraiati in una bara ricoperta di raso. La mia è di legno marcio. Scomoda per le giunture. Ma sono morto, e non mi preoccupo più di simili stupidaggini! (ride). Vi prometto che non sarà una storia lunga. Ma devo fare una piccola premessa per farvi capire cosa mi ha fatto maturare la sciagurata idea di venire in Occidente, dove è finita la mia vita. Dovete sapere come ho vissuto io, Osama, sempre onesto e religioso, che ho vissuto sempre rispettando il prossimo come la mia religione mi ha sempre insegnato, e che sono finito qui, ad accarezzare il terreno con i denti, in una bara di legno marcio, solo perché ho commesso “l’errore” di nascere povero, e straniero.

La luce accecante illumina le tombe decorose, poi si fa più fioca e si punta in faccia ad Osama. Questo è seduto su una tomba ormai vuota, scheletrico monito di una dinastia ormai estinta e di cui nessuno si ricorderà mai.
Fin da quando sono nato ho conosciuto solo una cosa: la guerra. Ho sofferto sempre la fame. Ho sempre avuto paura. La felicità l’ho conosciuta poco, e di quel poco non conservo alcun ricordo. Ricordo bene però le urla di dolore e disperazione, le lacrime e i pianti disperati delle vedove di guerra, che non potevano più sostentarsi. (sospira). Prima i Russi. Ma cosa volevano da noi, poveri contadini che non avevamo niente se non un fazzoletto di terra così piccolo che potevano coltivarci a mala pena per sopravvivere? Che volevano da noi, poveri disgraziati, che non potevano dargli niente altro che le nostre lacrime e la nostra rabbia? Eppure si accanivano sempre su di noi, poveracci, su donne ormai distrutte e su bambini disfatti. Sempre su di noi, si sono scaricate le loro angherie, le loro assurde violenze e le loro frustrazioni. I potenti però erano la, nei loro palazzi, con il culo al caldo e se ne fregavano di noi (un colpo di tosse nervoso). Scusate la volgarità.
(Si sistema meglio sulla lapide morta) Poi sono arrivati i Talebani. E non ho mai capito se erano peggio loro o i Russi. E anche questi se la prendevano con noi alzando il Corano quasi fosse una spada. Io, premetto, sono sempre stato un credente. E anche mio padre. E anche mia madre. Io sono sempre stato credente e non ho mai smesso di credere, anche se la vita e quegli uomini avrebbero potuto farmi odiare la religione. Non solo la vita delle donne valeva meno di quella delle bisce, ma pure quella degli uomini non valeva mica tanto di più! Al massimo, una capra! (Ride). Insomma, arriva un bel momento in cui un uomo, che forse si sente benedetto dal profeta, uno sceicco (mica un poveraccio eh!) che si fa chiamare Osama Bin Laden decide di far crollare le torri e quindi arrivano gli Americani. Qualcuno di questo gentile pubblico potrebbe anche contraddirmi, ma io non ho mai creduto che un solo uomo, per quanto potesse essere ricco e potente, abbia potuto organizzare una cosa simile. Oh, certo, di esaltati ce ne sono tanti e sempre ce ne saranno. Ma per fare certe cose ci vuole un’organizzazione che un semplice uomo non governante non può avere. E scusatemi se dico una stupidaggine, ma io l’ho sempre pensata così. Voi, cari gentiluomini, ditemi tutto quello che volete. So che siete morti, e chi ha visto le torri crollare, è morto con la convinzione che fosse stato lui mai io non l’ho mai creduto! Beh, queste sono cose di cui non voglio parlare, perché sono lontane da quelle che ho intenzione di raccontarvi. Ed ecco che intendo arrivare al sodo, per non annoiarvi tanto con la narrazione di una vita che aveva tutto fuorché la bellezza e l’avventura delle vite narrate nei romanzi che io non ho mai letto.
Buio. Una luce fioca illumina un mausoleo bellissimo, ma coperto di muschi e tutto sgretolato. Osama fa un inchino a quella tomba abbandonata.
Mi inchino a te, che sicuramente sei stato un brav’uomo e non mi hai mai trattato male. (si rivolge al pubblico). È stato un illuminista, ho sentito dire. Uno di quelli che studiavano e che andavano contro le superstizioni grazie all’uso della ragione. (ride). Hanno rischiato la vita per le loro idee. Non posso che ammirarli. Comunque (si siede gentilmente) spero la cosa, grande uomo, non ti dia fastidio. Ma toglierò presto il mio culo lordo dal tuo bel monumento. Signore, signori e bambini…(allarga le braccia, mentre le belle tombe sono sempre illuminate da una luce accecante che da loro un’aria quasi paradisiaca) sapete perché sono emigrato dal mio paese? Si, lo so quello che voi direste: per romperci i coglioni. (si schiarisce la voce, imbarazzato) Scusate la volgarità. E mi scuso anche con quelli che non la pensano come i comuni “benpensanti”. In realtà, sono venuto a darvi “fastidio” qui solo perché non ce la facevo più. Ero stufo della fame, delle ingiustizie, prima subite dai Talebani e adesso dagli Americani, ed ero stufo di vedere i miei familiari così affranti. E poi, pure per un altro motivo. Non so sinceramente cosa sia successo. Forse qualcuno ha fatto la spia, forse sotto tortura, non so. Mi hanno denunciato come presunto terrorista. Io, che non avevo mai fatto del male a nessuno! Io, che mi ero sempre tenuto lontano dalle teste calde! Sarei finito chissà dove, pensavo all’epoca. Ora so dove sarei finito. Rabbrividisco solo al pensiero. Allora…dovevo andarmene immediatamente. E poi lo dovevo fare pure per mia madre, mio padre, i miei fratelli. Ero stufo di vederli così. Ero stufo della paura delle mie sorelle, che non uscivano di casa perché rischiavano di essere arrestate per chissà quale accusa (a volte bastava essere femmina per essere arrestate) o violentate da militari ubriachi, o peggio ancora rapite per diventare le mogli di qualche fanatico con qualche soldo in più. Dovevo andare.
Le luci si spengono improvvisamente su Osama, mentre rimangono belle accese e accecanti sulle tombe silenziose. Si sentono dei passi sottili: è il custode che è uscito a fare due passi nella notte. Ma rientra subito e la luce, fioca, si riaccende su Osama, che ora si è spostato vicino alla tomba di un ebreo.
Lui almeno (accarezza la lapide) non mi caccerà né mi disprezzerà. È stato un ebreo ai tempi di un fanatico che in Europa e nel mondo chiamano Hitler. Ha fatto strage di ebrei. Lui è sopravvissuto al campo di concentramento, mentre i suoi parenti sono morti tutti. Lui sa cosa vuol dire sofferenza. Non mi ha mai trattato male. È morto sapendo che uno dei suoi aguzzini era vivo e vegeto e viveva bene, in Argentina. Vabbé, non è di lui che voglio parlare. Scusate ancora, caro pubblico, ora riprendo la mia storia.
Lo sguardo di Osama si perde nel vuoto.
Sapete, prima di venire qui avevo delle idee assolutamente mitologiche sull’occidente. Come l’oriente, era per voi occidentali, una specie di Mille e una notte, per me l’occidente era una specie di paradiso in terra dove tutto era possibile. C’era lavoro, denaro, libertà. Si poteva andare in giro senza rischiare di essere arrestati, violentati o torturati. E si guadagnavano fiumi di denaro. Il denaro, per chi è povero, è un’ossessione. Perché quando non ne hai ti rendi conto di quanto sia indispensabile per sopravvivere, perché ti permette di comprarti cibo, vestiti, medicine. Il denaro è un mito per chi è maledetto dal demone della povertà, e l’occidente ricco era il mio mito. A volte sognavo l’occidente come un mondo ricoperto di pietre preziose, con fiumi d’oro e bellissime donne dalla pelle bianchissima che mi adoravano e mi accudivano. (ride) Scusate signore, un pensiero che molte di voi che sono state femministe definirebbero maschilista, ma io non ho mai mancato di rispetto alle donne. Credo sia un sogno ricorrente, in un uomo, come in una donna l’essere accudita da un bell’uomo aitante e muscoloso. Quindi, siamo pari. Oh…scusate, come sono maleducato! Mi perdo sempre in discussioni inutili e non vado avanti con la mia storia. Spero di non annoiarvi troppo, adorato pubblico. Va bene…riprendiamo. Sognavo l’occidente paradisiaco. Poi ci sono arrivato, e mi sono reso conto che tanto paradisiaco non era. E, in alcuni casi, era solo leggermente migliore del mio mondo infernale.

La luce fioca si spegne ancora su Osama. Un barbone si è infilato all’interno del cimitero alla ricerca di un posto meno freddo dove dormire. Alla fine, come intimorito o abbacchiato per non aver trovato nulla di che, esce bestemmiando. La luce, sempre più fioca, si riaccende su Osama.
Sapete, nella mia infinita ignoranza, mi sono ritrovato spesso a ragionare sul razzismo. Ho sempre cercato di capire per quale motivo un uomo debba considerare inferiore un altro uomo, solo perché il colore della sua pelle è diverso o perché prega dio in un modo diverso e lo chiama con un altro nome. Ho provato a ragionare. Per motivi culturali? Le culture sono diverse, ma questo non significa che uno che va in giro mezzo nudo e usa strumenti primitivi abbia un cervello primitivo. Al contrario! È molto più difficile con una lancia in mano che non con una pistola, o con un supermercato sotto casa pieno di roba da mangiare. Per via dell’ignoranza? Questa dipende dalla possibilità che una persona ha di studiare o meno. Ne guarda caso sono sempre le persone dei paesi più poveri, spesso abitati da popolazioni dalla pelle nera, a non avere la possibilità di studiare (ride amaramente) Fiumi, ma che dico fiumi, oceani di parole sono state sprecate sul razzismo, per cercare di spiegarlo, o addirittura di giustificarlo. Il fardello dell’uomo bianco, per esempio. Oppure la religione. Il fatto che una religione sia più o meno “compatibile” con la democrazia. Ma cosa vuole dire “compatibile”? La democrazia viene dagli uomini, non dalle religioni. Le religioni si occupano delle anime, non della politica. E se qualcuno mischia religione e politica, questo non dipende dalla religione, ma dalla mentalità degli uomini e dal loro livello di cultura. (si alza e allarga le braccia, quasi volesse abbracciare tutte le lapidi) Signore e signori, sul terreno dove adesso sono siete tutti cristiani. Vorrei ricordavi che pure la religione cristiana un tempo interferiva con la politica. Vorrei ricordarvi che pure voi condannavate a morte, una volta, coloro che dicevano il contrario di quello che i vostri capi religiosi dicevano. Ed è solo grazie alla cultura che vi potete permettere che ora la pensate diversamente. Ora…perché voi dovete dire che noi musulmani non siamo “compatibili” con la democrazia? Perché le donne indossano i veli? Ma scusate, da quando un pezzo di stoffa è diventato simbolo di oppressione? L’oppressione è frutto dell’ignoranza, non della religione. E se tutti i paesi in prevalenza musulmani sono poveri, questo non dipende dalla religione ma dal fatto che sono meno fortunati di voi. Se solo si lottasse contro l’ignoranza con i libri invece che con le armi…ma lasciamo perdere va!
Osama si siede per terra.
Sono arrivato in occidente, senza nemmeno prevedere il guaio che avrei incontrato. Tutto era quasi come nei miei sogni. Quasi. Il problema era la gente. Mi guardava in modo strano. Forse per come ero vestito. Per come parlavo. Perché andavo in moschea. Si, per quello credo. Nonostante il tempo passato, tutti avevano ancora paura del terrorismo. Io venivo addirittura dall’Afghanistan, il paese “talebano”.
Ero anche, come dite voi, clandestino. Avevo pagato il viaggio tutti i soldi che avevamo. E…lasciamo perdere! Dovevo trovare un lavoro. Mi avevano detto che ottenuto un lavoro sarei stato regolare. Ci ho creduto, io, il cretino. Non era vero. Ho lavorato per mesi, come uno schiavo,con pochissimi soldi e tanta fatica. Quello che guadagnavo, una parte la tenevo per me, per le spese, una parte, molto piccola davvero, la mandavo a casa. Con pochi soldi i miei comunque potevano vivere degnamente. Io, un po’ meno! (ride nervosamente). Tutto era carissimo. Si, finalmente vedevo i tanti agognati soldi, ma a conti fatti in mano non mi rimaneva niente. Quasi tutto se ne andava per la roba da mangiare e per l’affitto. Vivevo con altri tre connazionali, ci dividevamo l’affitto o non avremmo potuto assolutamente avere un tetto sulla testa. E per quanto riguardava il cibo…non è che mangiassimo chissà quali prelibatezze! In poche parole, l’occidente dorato non era poi così bello come me lo immaginavo. Dietro la bella facciata intarsiata in oro e gioielli, c’erano bidoni e bidoni di immondizia puzzolente e putrefatta.
Buio improvviso su Osama. Le tombe dignitose sono sempre illuminate. All’improvviso la luce ritorna, ancora più fioca. Adesso sembra quasi la luce di un comodino che si sta bruciando.
(sospira)
La libertà. Sapete anche questa è relativa. Non esiste una libertà assoluta. Tutto dipende…dalla tua razza! Ecco da cosa dipende. Perché anche nell’occidente libero e democratico un immigrato non è libero. E di questo me ne sono reso contro forse troppo tardi. È stato un evento a farmelo capire. E questa cosa mi ha colpito in testa come un macigno. Una sera…non ricordo dopo quanto tempo che ero in occidente che la cosa è successa…ma credo non abbia importanza. Insomma…era sera. Io e l’altro mio inquilino eravamo in casa, tranquilli. Il mio coinquilino stava leggendo il corano. Lui, fortunato, che sapeva leggere. Sapete, avrei voluto chiedergli qualcosa. Magari insegnarmi a leggere il corano. Sicuramente lo avrebbe fatto, anche volentieri. Era veramente una persona squisita. E molto intelligente. Lui, infatti, è ancora vivo. Ma tralasciamo cose inutili! Insomma eravamo noi due e mancava il terzo coinquilino. Era uscito a fare un giro. Sapete non era uno molto religioso. Era un bravo ragazzo, ma non religioso. Infatti lui beveva alcolici ogni tanto, cosa proibita nell’islam, ma non si era mai ubriacato. E nemmeno quella sera. Però qualcosa era successo. Non ho capito bene. So soltanto che era stato arrestato perché, a detta di un cristiano, aveva guardato la sua ragazza in modo strano. Il mio coinquilino si era difeso, dicendo che non aveva avuto alcuna intenzione malvagia. Gli era solo caduto l’occhio, ecco tutto. Molti altri uomini lo hanno fatto, si era giustificato, perché te la sei presa con me? Insomma, questo cristiano lo aveva picchiato dandogli dello stupratore. Stupratore, lui, che non aveva mai fatto del male ad una donna. Stupratore, lui, che non avrebbe osato prendere una donna per forza nemmeno se glielo avessero ordinato? Lui, che era scappato dall’Afghanistan con la moglie perché era stufo di vederla nascosta in casa per paura di violenze e altri abusi! Insomma, lo avevano arrestato. Ed era tornato a casa con la faccia gonfia. Lo avevano picchiato, per fargli confessare il suo delitto. Ma lui non aveva fatto niente. Alla fine, dopo averlo conciato per le feste, si erano resi conto che forse non aveva veramente cattive intenzioni. Lo avevano mandato a casa. Si era trascinato fino a noi e poi era svenuto. Dieci giorni di ospedale. La moglie, che viveva con dei parenti, era sempre al suo capezzale. Piangeva. Poi lui non era più in grado di lavorare. Ha dovuto lavorare lei.
Avevo capito che per noi la libertà era solo una parola. (sospira) Non avevo però ancora capito che l’onestà non bastava. E poi non avevo ancora capito niente, evidentemente, altrimenti non avrei fatto quello che ho fatto. E non mi giustifico dicendo che non sapevo cosa facevo perché ero disperato. Allora questo non lo capivo. Dicevo solo a me stesso: io sono onesto, io lavoro onestamente, devono lasciami in pace. Lo ripetevo anche in preghiera. E mi sembrava che nessuno rispondesse. Forse Lui aveva capito che non ero io a parlare, ma il mio orgoglio. Lasciamo perdere va!

È quasi l’alba. Già ad oriente il primo sole si sta alzando dal sonno notturno. Dei gelidi raggi inondano, freddi, sterili come solo in inverno possono esserlo, la città intirizzita e addormentata. Osama si alza di colpo. Guarda il cielo con sguardo impenetrabile.
È quasi l’alba. Devo sbrigarmi. Il sole ha uno strano effetto su noi spiriti. Ci fa scomparire. Le ombre non vanno d’accordo con la luce. E nemmeno i vivi. (si inchina di fronte alle tombe per bene) Scusate caro pubblico se sono stato troppo chiacchierone e vi ho annoiato per tutta la notte. Ovviamente a voi, che siete colti, non interessano le riflessioni di un povero contadino ignorante che prova a far funzionare il cervello. Le braccia, solo quelle noi possiamo usare. Chiedo ancora scusa. Ora concludo il mio racconto. Ancora un po’ di pazienza.
Allora…era una notte buia e tempestosa…(ride con vitalità)scusate caro pubblico.
Volevo solo essere spiritoso. Anche perché quello che sto per dirvi non ha niente di spiritoso. Lo sapete, credo di aver sbagliato stato, quando ho deciso di venire in occidente. Ho scelto proprio quello che, non solo adotta ancora la pena di morte, ma soprattutto evita di accertarsi se un imputato è innocente o colpevole. Il giudice guarda in faccia, vede che colore è la pelle, si informa sulla religione ed emette la sentenza: bianco e cristiano innocente. Nero o musulmano colpevole.
Osama si siede per terra, guardando il suolo.
Poi ho perso il lavoro. (sospira) Era un brutto periodo quello. Nel senso, non che mancasse il lavoro. Anzi. Era un brutto periodo per noi immigrati. Cos’era successo? Non ricordo con precisione. Ah già, la storia di quel tunisino che aveva ucciso la famiglia. Che poi alla fine era stata una coppia di vicini. Quei pazzi. Beh, non sto qui a dilungarmi su questa storia. È quasi l’alba. Allora, c’era in ballo questa cosa e tutti avevano paura di noi, come al solito. Anche se lui era innocente ed era stato provato, una volta tanto. Però il nostro conto dovevamo pagarlo lo stesso, anche se non avevamo “consumato”. Io ho pure avuto la sfortuna di avere un capo razzista. Uno di quelli convinti. Uno di quelli che pensa che noi siamo qui solo a rubare il pane e a stuprare. In breve, uno che urla sempre “mamma li turchi!” Aveva pure un figlio nell’esercito, in Iraq, morto in un attentato. Così si diceva. Ovvio che non potevo certo stargli simpatico! Mi ha assunto solo perché nessuno voleva quel lavoro. E quando è scoppiato quel caso ha trovato la giustificazione per allontanarmi. Insomma mi ha licenziato! Ed io a piangere, a chiedergli il motivo. Lui niente. Licenziato! Punto e basta. Non bisognava fare domande. Questa era la decisione. Ed io non avevo diritti. Perché non avevo ancora ottenuto il permesso di soggiorno. Senza lavoro poi quel pezzo di carta non lo avrei mai ottenuto. (alza gli occhi al cielo, sospirando). Era la fine. Sarei stato rimpatriato a breve. Basta soldi per i miei familiari. Avevo fallito.
Nella semioscurità Osama si alza e comincia a camminare, lentamente.
La disperazione ti fa fare cose assurde. In quel momento, non ero più in grado di pensare. Non capivo che, anche un mio minimo gesto, avrebbe potuto essere usato contro di me. Con il senno del poi, avrei dovuto chiedere aiuto ad Allah, come facevo sempre. Avrei dovuto chiedergli la forza di stare calmo, di pensare, di cercami un altro lavoro. Lo avrei trovato, alla fine. I padroni sono sempre alla ricerca di immigrati da sfruttare. Se fossi stato fortunato, avrei anche potuto ottenere il permesso di soggiorno. Ero incensurato. Ero onesto. Ma ero disperato. E la disperazione ha avuto il sopravvento.
Silenzio per qualche secondo. Il sole si alza, lentamente. Pian piano, la città si sveglia, e si sentono le macchine sfrecciare vicino al cancello del cimitero.
Non ho più molto tempo. Mi devo sbrigare. Sapete erano le stesse parole che pensai allora, mentre mi accingevo a fare l’insano gesto. Ora vi racconto tutto, e mi costa fatica. (Sospira). Ero seduto sulla panchina della stazione ferroviaria. Faceva freddo, soffiava un vento gelido. Nella mia anima, invece, ardeva il fuoco della disperazione e della rabbia. In quel momento provavo un forte rancore per quella società occidentale che io avevo sempre sognato e che mi stava prendendo a calci negli stinchi. In quel momento, con i fumi della disperazione negli occhi, sarei stato pronto a qualsiasi cosa, pur di farla pagare a questa società che mi rifiutava solo per colpa di un branco di balordi che non rispettavano nemmeno i sacri dettami del corano. Che c’entravo io con loro? Perché anche io dovevo pagare per loro?
Mi ricordo…ho visto quella donna scendere dal treno, attorno le 18:30. Non ricordo se fosse bella o brutta, giovane o vecchia. Non mi interessava il suo corpo. La sola cosa che ho notato è stata la sua borsa. Una borsa di pelle, sicuramente firmata. Una donna che poteva permettersi di scendere dal treno alle 18:30 di un giorno lavorativo con una borsa simile doveva avere del denaro li dentro. Molto denaro. Non si va in giro con una borsa simile senza tanto denaro dentro.
La luce si spegne definitivamente, mentre continua a brillare, imperterrita e forte, sulle tombe per bene. Nell’oscurità dell’alba fredda e ancora buia, la voce di Osama rompe il silenzio.
Non ricordo nemmeno cosa ho pensato ma ho visto quella borsa e non ho saputo resistere gli sono andato dietro e la volevo prendere perché ero sicuro fosse piena di soldi non si va in giro con una borsa di pelle senza tanti soldi dentro e allora la mia attenzione era solo per quella borsa e volevo prenderla e basta e…gli sono andato dietro…l’ho…l’ho spintonata…lei ha urlato e io le ho preso la borsa gliela ho strappata dalle mani e l’ho lasciata a terra che urlava e poi…poi basta! Sono corso a casa con quella borsa in mano e solo dopo essermi seduto sul divano mi sono reso conto di quello che avevo fatto. Mi son seduto sul divano e mi sono reso conto di quello che avevo fatto…era orribile! Avevo rubato. Avevo commesso un reato. Non ero più un uomo onesto.
Sono…sono andato alla polizia a consegnare la borsa e li mi hanno arrestato. Quando mi hanno detto per che cosa sono rimasto di sasso: stupro e omicidio. Stupro e omicidio? Signori, ho detto, mi sa che c’è un equivoco. Io ho solo rubato una borsetta che ho restituito intatta. Guardate, non ho preso nemmeno un soldo. Il commissario mi ha guardato in faccia e mia ha detto dove mi trovato alle 18:30. Ho risposto dicendo che ero alla stazione dove ho derubato la donna. Mi ha dato la descrizione della donna e io ho risposto si, era la donna che avevo derubato. L’ho riconosciuta dai particolari dei vestiti perché il volto non l’avevo proprio notato. Il commissario mi ha guardato in faccia e ha detto: è morta. È stata uccisa con una pietra appuntita trovata vicino al corpo. È stata una donna marocchina a dare l’allarme. Ed è stata lei a fornire la tua descrizione. Tu hai ucciso e stuprato A.F., trentacinque anni. L’abbiamo trovata con le mutandine abbassate e il reggiseno lacero. Io…io…balbettavo così. Io…non l’ho violentata. Né l’ho colpita. Le ho solo rubato la borsetta. Tutti si sono messi a ridere. Il commissario ha detto: certo, dite tutti così. Siete sempre innocenti. Ma io ero veramente innocente. Tranne del crimine del furto.
Mi hanno messo in galera. E tante cose sono successe, nei giorni precedenti all’autopsia della povera donna. Tutte le trasmissioni, i telegiornali e i quotidiani parlavano di me. Io, l’assassino stupratore. La mia casa, che condividevo con altri connazionali, era diventata il luogo degli orrori. Quanti fiumi di inchiostro sprecati! Avrebbe potuto essere usato per fini più nobili. Ne hanno inventate di tutti i colori su di me! Hanno detto che ero un drogato e un ubriaco. Che ero un in contatto con delle cellule terroristiche. Che spacciavo droga, ma non era vero.
I programmi diretti da donne hanno versato litri e litri di veleno sulla mia persona e su molti miei connazionali, dandogli degli stupratori e degli sfruttatori di donne. (ride nervosamente) Ma che cosa vogliono queste donne? Parlano, parlano, parlano. Ma alla fine non fanno nulla! Stanno solo li a parlare, a gracchiare, a prendersi per i capelli, ad insultare gli uomini, mentre molte loro coetanee nel mondo soffrono per l’ignoranza e l’ottusità della gente. Si dicono paladine delle donne più deboli, ma non fanno nulla, se non sputare veleno come vipere arrabbiate, mentre migliaia di donne ogni anno subiscono ogni tipo di abusi nel silenzio totale del mondo. Ma lasciamo perdere. Non è di questo che vi voglio parlare.
Poi sono usciti i risultati dell’autopsia. A.F. non era stata violentata. Allora, io adesso non so come mai l’abbiano trovata con le mutande calate e con il reggiseno a pezzi, ma non aveva subito alcuna violenza sessuale. Qualcuno ha cercato di violentarla e lei si è difesa? Può darsi. Ma quel qualcuno non ero io. Di questo ero sicuro. Eppure… (ride a perdifiato, di una risata nervosa e isterica) lo sapete cosa hanno detto? Lo sapete? No? Ve lo dico io! (ride ancora, in maniera incontrollata) Hanno detto… (ride istericamente) hanno detto…che l’ho uccisa perché si è rifiutata di farsi stuprare. Si, hanno detto proprio così! Io, le avevo imposto lo stupro, ha detto una giornalista, e lei si è rifiutata. E allora io, che considerato lo stupro un mio diritto di maschio, l’ho uccisa. Così! Hanno detto così! (ride in maniera incontrollata). Quando ho sentito questa cosa, ve lo giuro, pensavo fosse uno scherzo. Stanno scherzando! Non è vero! Poi quando ho visto che la gente ci credeva…non ho più riso!
Le trasmissioni su questa cosa erano all’ordine del giorno. Non si parlava d’altro che di me e del mio “tremendo crimine”. Io ero dipinto come il mostro peggiore degli ultimi trent’anni, come un barbaro sanguinario venuto in occidente per sottomettere con lo stupro decine di donne indifese. Nel frattempo, comunque, avvenivano i seguenti crimini: un uomo di cinquant’anni è stato ucciso dal figlio a sprangate. Un uomo di sessant’anni è stato arrestato per aver stuprato venti bambini ed averne stuprati, torturati e uccisi tre, i cui corpi sono stati trovati nel suo giardino. Questa notizia agghiacciante è passata in secondo piano. Un trafiletto in terza pagina, nelle cronache. E tutti parlavano di me, il talebano stupratore. E non di questa persona. Se solo penso al suo crimine, rabbrividisco ancora adesso. Ma è passato tutto in secondo piano. Va bene, quel pazzo è stato arrestato, ma nessuno ne sa niente.
Il sole adesso è abbastanza alto nel cielo. La figura di Osama si fa evanescente.
Non ho più tempo, ormai. Comunque…c’è stato il processo. Tra alti e bassi il tutto è durato tre mesi. Sono stato condannato a morte per stupro e omicidio. Anche se in realtà la donna non era stata violentata, io ero comunque colpevole di tentato stupro, e quindi era stupro. Vabbé, non capirò mai la giustizia occidentale! Le prove della mia colpevolezza, non me le hanno mai mostrate. Le impronte digitali che avrebbero trovato sul reggiseno della donna, non le ho mai viste. E non mi sono nemmeno accorto di avere le mani sporche di sangue, quando mi hanno arrestato, come invece titolavano tutti i giornali. Ad ogni modo, sono stato condannato a morte e messo nel braccio della morte.
Ci sono stato per otto mesi. Nel frattempo l’onda di piena di era esaurita, molti miei connazionali erano stati espulsi senza motivo. Mi scuso con loro per quello che è successo. È comunque colpa mia. Se non avessi rubato quella borsetta…se non avessi rubato quella borsetta, cosa ne sarebbe stato di me? Sarei sicuramente ancora vivo, e forse avrei anche avuto un lavoro decente. E la mia famiglia sarebbe stata bene. La mia famiglia…credo che non me lo perdonerò mai, per averla lasciata in miseria.
Mio padre è morto un mese fa. L’ho visto. Ho pianto sulla sua spalla. Lui mi ha consolato. Mi ha detto che non era colpa mia. Che non dovevo preoccuparmi. Che le mie sorelle stavano bene, che erano emigrate in un paese migliore. Non mi sono ancora dato pace.
Le macchine sfrecciano sulle strade, davanti al cancello del cimitero. Adesso il debole sole illumina una lapide malconcia, e Osama, sempre più evanescente, chino su quella lapide.
Alla fine sono stato giustiziato sulla sedia elettrica. Con me, altre tre persone. Accusate di omicidio. Mai commesso. Erano due neri e un filippino, di fede islamica.
Io…io non ho mai saputo chi ha ucciso quella donna. E forse nessuno lo sa. Vi chiedo…signori e signore, se apparite in sogno a vostri familiari…chiedete informazioni. E se qualcuno dovesse sapere qualcosa…venga sulla mia tomba, a dirmelo. Non che mi interessi…ma giusto per sapere chi ringraziare, un giorno. Oh, scusate la mia volgarità. Scusate tanto.
Osama sparisce. Il vento spazza le foglie davanti alla sua tomba abbandonata. Le luce si spengono sulle tombe perbene, mentre il sole le inonda con i suoi raggi tiepidi. Alpha e Omega…me lo ha detto una volta un mio vicino di cella (la voce di Osama si perde nel vuoto) C’è chi è nato per essere Alpha, e chi per essere Omega. Ultima lettera dell’alfabeto greco. Io sono Omega. E come Omega sono finito.
La voce si perde nel vuoto. Silenzio.

See ya! :-)

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