Wednesday 23 May 2007

ANCORA RACCONTI


Qui qualcuno mi maledirà per questi post eretici, invece di parlare dell'ultima figlia di Totti e del suo stronzissimo nome di Chanel. Ma il blog è mio e ci pubblico quello che più mi aggrada. E poi non conosco tutti i dettagli della vicenda.
Questo è un raccontino veloce veloce, un tantino (ma solo un pò!) sarcastico ma sembra abbia riscosso giudizi favorevoli quando fu letto la prima volta, qualche anno fa.
Ogni riferimento a persone viventi o vissute è puramente casuale :-P

LA SENTENZA

Quando lui riapre gli occhi si ritrova in una stanza dal soffitto grigio e basso. Un letto duro come il legno, che infastidisce il suo tenero culetto.

Una porta pesante è chiusa davanti all’uscita. Tenta di aprila, e si accorge che è chiusa a chiave.

“Ehi voi”, grida, “vi siete chiusi fuori!”

Ma la battuta non lo fa ridere.

È confuso. Sarà mai vero quello che è successo la sera prima? Lo hanno veramente portato via da casa sua, senza motivo?

Ma, alla fine, lo hanno veramente portato via la sera prima? E che…la sua testa è peggio di un budino venuto male. Non ricorda niente. Tabula rasa è dir poco. Forse…potrebbero essere passati giorni. Anni magari. Ma la cosa non cambia! Si ritrova chissà dove per chissà quale motivo. E poi, pensa, ho chiuso il gas prima di essere portato via?

Verso le otto, o forse le nove del mattino, di sera, non sa, arriva una guardia. Grosso e puzzolente di sudore rappreso, con delle macchie di cioccolato sulla divisa.

“Andiamo che è ora”.

“Ora per che?”

“Non lo sai?”, risponde la guardia. “Per la tua sentenza”.

“La sentenza per che cosa? Sono testimone o accusato?”

La guardia lo guarda male: ride amaramente.

“Voi assassini siete tutti uguali! Vi considerate sempre innocenti”.

“Assassino?”

Lui non capisce un fico secco di quello che quella guardia gli dice. Ma lo segue, perché quel secondino è grosso, puzza e non vuole farlo arrabbiare. Perché le sue mani sembrano più badili, che mani di un essere umano. E non ci tiene a ritrovarsele addosso.

Quei corridoi sembrano il labirinto del Minotauro. E lui non si chiama Arianna, e non ha il famoso filo. Ma dopo qualche centinaio di metri, lo scenario cambia. E da tanti il corridoio diventa uno solo. Verde pistacchio. Verde speranza. Che presa per il culo! A lui, quel lungo corridoio, sembra il Miglio Verde. Che? Lo stanno portando sulla sedia elettrica? Diventerà un pollo arrosto, senza nemmeno sapere perché è rinchiuso li dentro? Senza sapere chi ha ucciso e perché? Che sia in una specie di trance e non lo sappia? Forse è tutto un incubo e fra poco mi sveglierò.

Una porta enorme gli si para davanti,. È di legno scuro, pesante. Ed è altissima. Sembra la porta di una cattedrale. E alte sono anche le finestre. E piccole, come quelle dei vecchi manicomi. Per evitare che i criminali scappino.

“Aspetta qui” dice il secondino.

“Dove?”

“Là! Deficiente! Non vedi che c’è una panca? Appoggia il culo e chiudi la fogna”.

Mai come la tua, pensa. Ma che si è mangiato quello? Un cadavere rubato di nascosto dall’obitorio?

-“Potresti almeno dirmi perché mi trovo qui e da quanto tempo?”

La guardia ride. Una risata aspra, fastidiosa. Viene come colto dall’istinto irrefrenabile di appoggiare la sua mano stretta a pugno sulla sua faccia. Ma l’istinto irrefrenabile viene smorzato dalla vista delle grosse mani di lui, che non avrebbero problemi ad afferrarlo per il collo e a scuoterlo, quasi fosse un micino appena nato.

La guardia si allontana e continua a ridere. Ma che avrà detto di tanto comico? Si siede sulla panca dura e aspetta. Cosa? Qualsiasi cosa. Qualcosa dovrà pur accadere, prima o poi. E magari capirò che cacchio ci faccio qui, da quanto tempo sono qui e quello che mi succederà, pensa. Si, basta solo aspettare…aspettare. Ma quanto ha aspettato, prima di potersi sedere su quella panca ruvida? Ormai, ne è sicuro, tutto non può essere successo in un sol giorno. Ma la sua mente, per quanto si sforzi di ricordare, rimane una tabula rasa.

È immerso nei suoi pensieri. Lo rimane per un po’ di tempo. Indeterminato.

I suoi pensieri vengono rotti dall’arrivo di uno strano corteo. Un gruppo di uomini vestiti in doppiopetto, con una valigetta ventiquattrore in mano. Si muovo rigidi, come marionette E in mezzo a questo buffo corteo ci sta un uomo. E quest’uomo è bassino, vestito bene. Leggermente calvo, con un sorriso beota stampato sul viso. Ma che cavolo avrà mai dai ridere questo qui, si domanda.

Non fa in tempo a cercare la risposta. L’uomo attraversa quell’enorme porta, così come il resto del corteo. Lui spera che quella dannata si chiuda, facendo sparire dalla sua vista quel ridicolo ma pur inquietante corteo. Ma la porta rimane aperta, e lui non può fare a meno di sbirciare all’interno.

È un’aula di tribunale, pensa. Mi trovo in pretura, o giù di li. Forse…forse per quella volta che ho venduto un po’ di fumo agli amici. Ma sono passati vent’anni, pensa. Forse…forse per quella volta che per poco non investivo quella vecchia idiota sulle strisce. Ma…alla fine non l’ho investita!

Forse…forse, forse, FORSE! Basta con tutti questi forse! Bisogna capire, dannazione, capire! Che cosa avrà mai combinato di così grave per finire in prigione? Possibile che abbia commesso un reato tanto grave senza nemmeno ricordarsi cosa? Che fosse in uno stato comatoso tale da agire senza rendersene conto?

Santa Madonna, ditemi di che cosa sono accusato, e facciamola finita! Si stringe la testa tra le mani, inizia a piangere. Come un bambino capriccioso. Se solo sapessi…se solo capissi. Tutto è troppo strano.

Lo vede lì, il tappo beota, di fronte ai giudici. E loro, i giudici, seri e computi, osservano dei fogli che hanno davanti agli occhi. Intanto le marionette sono dietro al tappo beota. Che è evidentemente il loro “burattinaio”.

“Allora, signor XYZ, qui la cosa è grave” dice il giudice.

È un ometto pelato, il giudice, dal viso di marmo sgretolato, quasi fosse stato costruito con materiale scandente, come succedeva ai tempi di Tangentopoli. Ma i suoi occhi sono duri, freddi come una ghiacciaia e le sue labbra sono serrate in modo così stretto da sembrare incapaci di aprirsi a sorriso.

“Insomma…associazione a delinquere di stampo mafioso, tentata estorsione, tentato omicidio, tentata rapina a mano armata, sequestro di persona, sfruttamento della prostituzione minorile, violenza carnale, tortura fisica e psicologica…e chi più ne ha più ne metta. Insomma, da qui lei non ne esce, signor XYZ!”

Il tappo beota, che è di profilo, sospira.

“Io, signor giudice, sono sicuro del fatto mio. Posso quindi affermare di essere innocente. Vero signori?”

I burattini dietro di lui annuiscono.

Il giudice ride.

“Innocente! Con queste credenziali, allora, anche Jack lo Squartatore dovrebbe essere considerato innocente”

“Non so chi sia questo signore e non mi importa di saperlo” dice il tappo beota.

“Lei ha abusato per anni della nostra democrazia per fare il bello e il cattivo tempo. E la nostra democrazia impedisce a gente come lei di continuare ad ingrassarsi e prosperare. Inutile negarlo che 30 anni di carcere non glieli leva nessuno!-

Il tappo Beota, meglio conosciuto come il Signor XYZ, scuote la testa sorridendo. Poi si avvicina a quell’enorme tavolaccio, sempre sorridendo.

“Quelle che chiama tangenti, erano solo prestiti per far star meglio la popolazione. Quella che lei chiama associazione a delinquere di stampo mafioso nient’altri era che una semplice collaborazione amichevole con una famiglia che ha fatto tanto per me. Tentata rapina a mano armata? Mai questa mano ha toccato arma! Era semplicemente uno scherzo, che io feci a suo tempo. E per quanto riguarda prostituzione e violenza carnale…su giudice, è uomo come me! Lei sa cosa non farebbero le donne pur di avere come amico un uomo come me! Tutte mi amano, e farebbero carte false. E poi, scusi, si fida di chiacchiere femminili stupide e insensate? Lo sa benissimo che le donne esagerano sempre!”

Sorridendo, XYZ posa una grossa borsa sul tavolo del giudice. La apre: è piena di soldi.

“Come si permette? Lei mi vuole corrompere per essere assolto? Ma io sono incorruttibile, ed è meglio che se ne faccia una ragione!”

“Signor giudice, ma lei ha proprio il dente avvelenato! So benissimo quanto lei sia retto, un pezzo di acciaio. Ma questa borsa…proprio pesava troppo e non riuscivo assolutamente a reggerla ancora per chissà quanto tempo!”

Il giudice lo guarda. Poi guarda i fogli che ha davanti. Poi la valigia. E ancora i fogli. E ancora la valigia. XYZ ammicca sornione. Poi vede le sue labbra muoversi lentamente e impercettibilmente. E dicono:

“Sono tutti tuoi, se non mi condanni. Ho ancora troppo da fare per finire in galera. Sono 5 milioni. Hai idea di quello che potresti fare con una somma simile?”

Il giudice impallidisce e arrossisce in un botto solo. Poi sistema i suoi fogli e guarda il signor Beota, come lo ha soprannominato lui.

“ Visti i risvolti” inizia “si trova davanti a un bivio, Signor XYZ. E lei deve scegliere. Dunque, le pongo questa domanda: lei, imputato, vuole forse essere condannato o assolto?”

“Beh, credo che vorrei essere assolto, visto che sono innocente. Vero signori?”

Si gira verso le sue marionette. Loro scuotono la testa in senso affermativo.

“Ha ragione” dice il giudice. “E poi, del resto, le prove non erano molto credibili. E poi si sa: le donne chiacchierano chiacchierano…fanno sempre le vittime, per loro ogni avance innocente è stupro. Ecco perché non le vogliamo in politica. E se fosse per me, le caccerei anche dalla carriera giudiziaria!”

Non crede alle sue orecchie. Non è possibile. Fino a poco tempo prima avrebbe sbattuto in galera quel beota gettando via la chiave, adesso invece lo difende, è addirittura suo amico.

Si stringono amichevolmente la mano e XYZ gli da appuntamento per sabato a casa sua, per una cena di amicizia. Il giudice accetta volentieri.

Il Beota esce sorridente dall’aula. Lo guarda.

“Buona fortuna”

“Vaffanculo!” sbotta lui.

Per questa esclamazione viene gettato alla parete e colpito con cinquanta frustate.

“Il prossimo” grida il giudice.

Lo trascinano dentro a forza. Sul tavolo del giudice, troneggia ancora la valigetta, che è stata prontamente chiusa per evitare che lui potesse vedere quanto sia facile comprare qualsiasi cosa, basta avere i soldi.

Viene fatto sedere in aula da due guardie simili a gorilla. Accanto a lui un ometto grigiastro e pelato. Il suo avvocato difensore. Sembra una salma, pensa. Potrà mai difendermi?

“Dunque…ah, si. Lei, signor **** è accusato…ah, si accusato dell’omicidio di Elena S.”

- Elena? Elena, la mia vicina, è morta?-

“Da tre anni”

“Cosa?”

“Ed è stato lei ad ucciderla. Abbiamo le prove!”

Elena morta. Lui l’ha uccisa. Gli voleva bene, ad Elena. Era l’unica persona che lo trattava da essere umano, dopo che sua moglie se ne era andata di casa ed aveva preteso il divorzio ed un assegno divorziale grande come la cattedrale di San Pietro. Faceva la cavallina storna con cani e porci, spingeva le figlie a vestirsi da prostitute, aveva permesso che la più grande di soli sedici anni diventasse l’amante del suo nuovo boyfriend, eppure il giudice aveva affidato loro le figlie.

Ricorda che aveva visto Elena l’ultima volta due giorni prima. Ed era verticale e piena di vita. Se lei era morta, non era certo per causa sua.

Il giudice sfoglia una cartella. È il suo “file”.

“Dunque….ah, si, le prove: mi sembra giusto elencarle. Elena S. è stata trovata con la testa sfondata nel suo appartamento…insieme a dei suoi guanti, naturalmente coperti dalle sue impronte digitali, e ad altri oggetti che, oltre le impronte della vittima, erano coperti anche delle sue impronte. Non si è nemmeno curato di pulirli.”

“Io…io…non ho ucciso Elena. Quei guanti…quelle impronte…potevano essere stati toccati in altri momenti, quegli oggetti. Frequentavo spesso la sua casa. E…sto da tre anni in galera? Non ricordo niente”

“E lo credo! Urlava e si dimenava come un pazzo. Diceva sono innocente, sono innocente. Mai sentito di persona più falsa. Era talmente insistente che non hanno fatto altro che drogarla”.

“Ma io SONO innocente!”

“Lo vada a raccontare a qualcun altro!”

“SONO INNOCENTE! Perché ha assolto quel signore pelato che è appena uscito e non me, che non ho commesso nulla! Lui è un criminale, non io!”

“Stia zitto! E non si permetta più di gettare fango su uomini onorevoli come il signor XYZ. Ce ne fossero di più come lui! Il mondo sarebbe un paradiso in terra!”

Il giudice sfoglia il suo codice penale.

“Secondo l’articolo 234 comma bis e tris, la condanno alla pena capitale!”.

“Non ho commesso quel delitto!”

“Le prove parlano contro di lei!”

“Quei guanti potevano essere li da chissà quanto tempo! O può averli messi li qualcun altro! Sono stato incastrato! Avvocato, dica qualcosa!”

Ma l’avvocato non apre bocca. La mummia di Ramses II ha molta più vitalità.

Lui si avvicina al giudice. Forse è il suo stato d’animo, ma gli pare che quel tavolo sia alto almeno due metri. E il giudice lo guarda dall’alto, severo, tronfio del suo potere.

“Vostro Onore, la prego, mi hanno incastrato!”

“ Mi dispiace, ma questo film l’ho già visto!”

“La prego!”

Non serve a niente. Il giudice guarda…i suoi stracci macilenti. Non ha una borsa piena di denaro. Non può comprarsi la sua innocenza.

Il giudice batte il martello. La seduta è tolta.

Lui non sa per quanto tempo sia rimasto da solo, nella sua cella, dopo la sentenza. Spera sempre che le cose cambino. Magari si ricorrerà in appello. Magari tutto ciò finirà e lui verrà liberato.

Elena…le voleva bene. Eppure adesso non riesce nemmeno a ricordare il suo viso.

Cinque anni dopo. Viene giustiziato. La giustizia, si sa, è lunga.

Il signor XYZ è stato eletto re, oops, primo ministro nelle precedenti elezioni. I fiumi di euro con cui ha oliato per bene la campagna elettorale hanno dato i suoi frutti.

Ora, grazie a lui, sono tutti felici. I giovani guadagnano meno di un contadino armeno ma sono felici. Le donne lavorano come schiave nere, fanno figli come conigli nani, ma sono felici. Appena esci di casa ti rubano pure le mutande, ma tutti sono felici. La Chiesa si è ripresa quello che le avevano tolto secoli prima. Non si può più abortire. Non si può più divorziare. I gay vengono solennemente bruciati al rogo in un bagno di folla esultante.

Tutti hanno un gran mal di mascella a furia di ridere perché sono felici come non lo sono mai stati. Infatti i suicidi sono aumentati del 40%.

Dieci anni dopo. Viene riaperto il caso grazie alla misericordiosa intercessione di suor Marianna *****, figlia maggiore del povero condannato, che dopo tanti stupri ha deciso di mandare a quel paese gli uomini e farsi monaca. Odia la Chiesa, ma chiusa in convento almeno non corre il rischio di trovarsi una verga in mezzo alle gambe anche quando non ne ha voglia.

Alla fine si è scoperto che lui non aveva ucciso Elena S. Quei guanti erano stati dimenticati la sera precedente. Elena, in realtà, era scivolata su una buccia di banana e si era aperta il melone in modo del tutto accidentale.

Avevano condannato un innocente. Ma alla fine sono cose che capitano.


Alla prossima...




2 comments:

Anonymous said...

Non so perché, ma questo racconto mi ricorda tanto qualcosa...

Anonymous said...

Racconto molto carino, non migliore dell'altro che ho letto, ma ugualmente molto carino! :)
L'intento sarcastico e' piu' che trasparente ed i riferimenti puramente casuali e del tutto condivisibili lo sono anche: del resto siamo tutti uguali di fronte alla legge ma chi viene eletto dal popolo ha diritto ad essere un po' piu' uguale degli altri, no? ;)

Una domanda: ascolti Fabrizio de Andre'? Perche' una frase che hai scritto appariva quasi come una citazione da una sua canzone: "Sogno numero due".
Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?


Piu' leggo quello che tu scrivi e piu' sono convinto che il progetto di cui sai possa solo guadagnarci con la tua presenza. :)