"Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione", dice il Perozzi in "Amici miei". E questo film è proprio questo: genio, fantasia, intuizione, commedia, ma anche favola amara di quegli anni a cavallo tra la fine del miracolo economico e l'inizio degli anni di piombo.
Girato nel 1975, il film racconta l'amicizia virile tra cinque cinquantenni fiorentini: il conte decaduto Mascetti, il giornalista Perozzi, il barone della medicina Sassaroli, il barista Necchi, l'architetto Melandri. All'apparenza felici delle loro vite, in realtà sono delle figure problematiche e a volte patetiche, che trovano nella loro inossidabile amicizia e nei loro scherzi (zingarate) l'unica ragione di felicità e l'unico stimolo a vivere. Sono personaggi in realtà tristi e rassegnati: il Mascetti si è mangiato tutto il suo patrimonio e quello della moglie Alice, e vive di sussistenza pur non rinunciando alle avventure proibite e ai sogni di nobiltà; il Melandri è alla continua ricerca di una donna, bisogno tanto impellente che lo spinge anche ad allontanarsi dagli amici per poi ravvedersi all'ultimo momento; il Perozzi soffocato da una moglie grigia e da un figlio altrettanto grigio e cerca una ventata di aria fresca nelle continue e pericolose avventure extra-coniugali; infine il Sassaroli, barone della medicina, single e annoiato. Tutti insieme, come nell'ultimo tentativo di allontanare la realtà brutale e grigia che li circonda, vivono di scherzi a volte pesanti. Famosa è la "supercazzola" (Supercazzola prematurata con scappellamento a destra o sinistra per due come se fosse antani), vero e proprio cavallo di battaglia del Mascetti. Altrettanto famosa la scena dello schiaffeggiamento dei passeggeri affacciati al finestrino del treno.
Il finale è amaro, il che fa che della commedia un'amara riflessione della condizione umana. La morte del Perozzi, l'ultimo tentativo dei quattro superstiti di gabbare la morte, fanno di questo film l'ultimo capolavoro della commedia all'italiana. Merito anche del genio di Monnicelli, maestro della commedia italiana, e del grande cast, tra i quali il mattatore per eccellenza Ugo Tognazzi e il grande, da poco scomparso, Philippe Noiret (il Perozzi).
Non a tutti un film come questo può piacere. Molte femministe potrebbero trovarlo un film sessista, mentre la comicità potrebbe non essere capita da tutti (specialmente la supercazzola). Inutile poi negare che alcune zingarate sono decisamente un pò pesantine (memorabile quella del Necchi che sfoga i suoi bisogni corporali nel vasino del figlio dei padroni di casa alla festa dove si sono impunemente autoinvitati per poi far ricadere la colpa sul povero bimbo), ma sta proprio qui il cuore del film: la crudeltà e il patetismo dei protagonisti riflette il mondo italiano di quegli anni, la crisi esistenziale dell'umanità, con ancora negli occhi un miracolo economico ormai morto e la minaccia degli anni di piombo che stavano sopraggiungendo. Il tutto mescolato al genio di Monnicelli, sicuramente ultimo superstite del buon cinema italiano.
Credo che sia tutto.
Alla prossima.
Girato nel 1975, il film racconta l'amicizia virile tra cinque cinquantenni fiorentini: il conte decaduto Mascetti, il giornalista Perozzi, il barone della medicina Sassaroli, il barista Necchi, l'architetto Melandri. All'apparenza felici delle loro vite, in realtà sono delle figure problematiche e a volte patetiche, che trovano nella loro inossidabile amicizia e nei loro scherzi (zingarate) l'unica ragione di felicità e l'unico stimolo a vivere. Sono personaggi in realtà tristi e rassegnati: il Mascetti si è mangiato tutto il suo patrimonio e quello della moglie Alice, e vive di sussistenza pur non rinunciando alle avventure proibite e ai sogni di nobiltà; il Melandri è alla continua ricerca di una donna, bisogno tanto impellente che lo spinge anche ad allontanarsi dagli amici per poi ravvedersi all'ultimo momento; il Perozzi soffocato da una moglie grigia e da un figlio altrettanto grigio e cerca una ventata di aria fresca nelle continue e pericolose avventure extra-coniugali; infine il Sassaroli, barone della medicina, single e annoiato. Tutti insieme, come nell'ultimo tentativo di allontanare la realtà brutale e grigia che li circonda, vivono di scherzi a volte pesanti. Famosa è la "supercazzola" (Supercazzola prematurata con scappellamento a destra o sinistra per due come se fosse antani), vero e proprio cavallo di battaglia del Mascetti. Altrettanto famosa la scena dello schiaffeggiamento dei passeggeri affacciati al finestrino del treno.
Il finale è amaro, il che fa che della commedia un'amara riflessione della condizione umana. La morte del Perozzi, l'ultimo tentativo dei quattro superstiti di gabbare la morte, fanno di questo film l'ultimo capolavoro della commedia all'italiana. Merito anche del genio di Monnicelli, maestro della commedia italiana, e del grande cast, tra i quali il mattatore per eccellenza Ugo Tognazzi e il grande, da poco scomparso, Philippe Noiret (il Perozzi).
Non a tutti un film come questo può piacere. Molte femministe potrebbero trovarlo un film sessista, mentre la comicità potrebbe non essere capita da tutti (specialmente la supercazzola). Inutile poi negare che alcune zingarate sono decisamente un pò pesantine (memorabile quella del Necchi che sfoga i suoi bisogni corporali nel vasino del figlio dei padroni di casa alla festa dove si sono impunemente autoinvitati per poi far ricadere la colpa sul povero bimbo), ma sta proprio qui il cuore del film: la crudeltà e il patetismo dei protagonisti riflette il mondo italiano di quegli anni, la crisi esistenziale dell'umanità, con ancora negli occhi un miracolo economico ormai morto e la minaccia degli anni di piombo che stavano sopraggiungendo. Il tutto mescolato al genio di Monnicelli, sicuramente ultimo superstite del buon cinema italiano.
Credo che sia tutto.
Alla prossima.
2 comments:
Mavaffanzum....
Grande la supercazzola...
....
o bucaiola, tu mi tradisci,
mi dici "vengo", e invece, tu pisci..
...
ed il trapianto del "buco di culo"?
a causa delle "defecazio isterica"
...
che genialata....
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