Ieri sera, prima di andare a dormire, sono uscita un pò sul balcone. Non era male, come serata. Anche se le nuvole coprivano il cielo. Mi è sempre piaciuta la notte, mi rilassa.
Dopo un pò l'ho sentito. Era un verso molto conosciuto. Un gufo. O forse una civetta. Quel verso mi ha fatto tornare alla memoria una poesia di Pascoli che ho sempre amato e che, ogni volta che la leggevo, mi provocava i brividi. Per quella sua atmosfera, in grado di mutare dalla notte calma all'inquietudine crepuscolare della notte. La lirica è "L'assiuolo", una delle più belle ed emozionanti di Pascoli. Leggendola ancora oggi, dopo anni dall'ultima volta che l'avevo vista su un libro scolastico, mi sono posta questa domanda: è ancora possibile, oggigiorno in un mondo dominato dal vuoto degli ideali e dalla televisione incontrollata che distrugge la fantasia, creare liriche di questa altezza? E più ci penso e più mi rendo conto che la risposta è una sola, lapidaria e sconsolante: NO! Leggendo le poesie di oggi, sembrano tutte opere di scribacchini in confronto alle liriche pascoliane (oddio, credo che ogni scrittore odierno, a parte qualche rarissimo caso, sia uno scribacchino di fronte a Pascoli, io in primis!), e questo mi ha portato ad una sola conclusione: siamo tutti dei nani in spalla a dei giganti. Ecco perchè vediamo l'orizzonte.
Ecco la poesia:
Dov'era la luna? ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?...);
e c'era quel canto di morte...
chiù...
Sarebbe inutile e soprattutto troppo noioso fare una critica di questa poesia. Ma credo che tutti, bene o male, la conoscano e abbiano avuto a che fare con lei a scuola...
See ya... :-O
P.S. Credo che questo blog stia diventando un pò troppo personale, e credo che prima o poi dovrò ricominciare a scrivere post seri...ad avere il tempo!!!!
Dopo un pò l'ho sentito. Era un verso molto conosciuto. Un gufo. O forse una civetta. Quel verso mi ha fatto tornare alla memoria una poesia di Pascoli che ho sempre amato e che, ogni volta che la leggevo, mi provocava i brividi. Per quella sua atmosfera, in grado di mutare dalla notte calma all'inquietudine crepuscolare della notte. La lirica è "L'assiuolo", una delle più belle ed emozionanti di Pascoli. Leggendola ancora oggi, dopo anni dall'ultima volta che l'avevo vista su un libro scolastico, mi sono posta questa domanda: è ancora possibile, oggigiorno in un mondo dominato dal vuoto degli ideali e dalla televisione incontrollata che distrugge la fantasia, creare liriche di questa altezza? E più ci penso e più mi rendo conto che la risposta è una sola, lapidaria e sconsolante: NO! Leggendo le poesie di oggi, sembrano tutte opere di scribacchini in confronto alle liriche pascoliane (oddio, credo che ogni scrittore odierno, a parte qualche rarissimo caso, sia uno scribacchino di fronte a Pascoli, io in primis!), e questo mi ha portato ad una sola conclusione: siamo tutti dei nani in spalla a dei giganti. Ecco perchè vediamo l'orizzonte.
Ecco la poesia:
Dov'era la luna? ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?...);
e c'era quel canto di morte...
chiù...
Sarebbe inutile e soprattutto troppo noioso fare una critica di questa poesia. Ma credo che tutti, bene o male, la conoscano e abbiano avuto a che fare con lei a scuola...
See ya... :-O
P.S. Credo che questo blog stia diventando un pò troppo personale, e credo che prima o poi dovrò ricominciare a scrivere post seri...ad avere il tempo!!!!
2 comments:
Beh, magari non te lo ricordi, ma anche a me piaceva una poesia del Pascoli, anche se non questa.
A me piaceva l'Alexandros, dedicata a Alessandro Magno (http://www.intratext.com/IXT/ITA0896/_P20.HTM).
:) Questo commento me lo hai tirato fuori con le tenaglie (metaforicamente parlando).
:P Ora però torno nel baratro. Alla proxima
La questione che offri è decisamente profonda e può dar vita a dozzine e dozzine di riflessioni diverse e collegate. Ma cercherò di evitare di perdermi oggi... al limite si potrebbe proseguire ed approfondire il dialogo in un secondo tempo o in via privata! :)
Tu offri una visione sull'argomento partendo dal punto di vista del cambiamento della società e dei costumi. Sacrosanto: siamo passati da un'epoca dove vigevano certi valori ad un'epoca dove ne vigono altri, tutt'altro che migliori in quasi la totalità degli aspetti. Siamo una società rintronata dalla televisione, dal materialismo e consumismo più estremo, una società superficiale e corrotta. E, non di certo per giustificare questa società, mi pongo comunque un dubbio. Un dubbio che nasce dall'osservare la storia dell'umanità, un'umanità in perpetuo cambiamento, in continua mutazione, tanto nei valori sociali quanto in quelli personali. L'epoca in cui visse Pascoli non era di certo perfetta, così come non era perfetta l'epoca in cui vissero altri grandi della letteratura. Al pari non era perfetta l'epoca in cui vissero grandi dell'arte in generale, sia essa letteraria, sia essa visiva, sia essa musicale. Ed, invero, in quei periodi vi sono stati sì dei grandi, ma anche milioni e milioni di persone dimenticate. Quindi il mio dubbio è: siamo certi che la società giochi un ruolo così assoluto sull'arte? O, forse, alla fin fine è solo la formazione dell'individuo a permettere la distinzione fra l'eccellenza e la non eccellenza? E, di conseguenza, l'esaltazione dell'eccellenza come tale e non di altro? In altre parole, mi domando se davvero non hai ragione tu a dire la società moderna non permette la nascita di nuovi capolavori o se, piuttosto, la società moderna non sia in grado (per un diverso metro di valutazione) di riconoscere tali capolavori anche laddove essi siano creati.
La scultura moderna vede improbabili ed assurde figure spacciate per capolavori, vede fantocci di bambini appesi agli alberi scambiati per meraviglie eccellenti. Se uno scultore oggi scolpisse come Michelangelo sarebbe riconosciuto come vero artista o non sarebbe considerato?
La poesia moderna vede metriche e ritmi diversi da quelli di grandi maestri del passato, spesso semplici parole poste con tanti a capo uno dopo l'altro ed offerte come poesia. Se un poeta oggi scrivesse come Pascoli o Leopardi (il mio preferito) sarebbe considerato poeta o sarebbe snobbato?
La musica moderna vede talvolta assurdi e sconclusionati frastuoni che vengono offerti come capolavori. Un autore vero oggi riuscirebbe (e riesce, dato che per me molti meritano comunque il loro titolo) a farsi riconoscere e considerare tale oppure si perde nella folla di musicisti copertina?
E così via dicendo...
E' indubbio che la società svolga un ruolo molto importante nella formazione dell'individuo, ma tale ruolo vede la sua percentuale più rilevante nell'impedire a nuovi grandi di diventare tali o, forse più banalmente, nell'impedire a nuovi grandi di farsi riconoscere?
Personalmente non escluderei affatto la seconda... :)
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