Non avendo ultimamente ne pensieri filosofici in salsa culé particolarmente intriganti ne tanto meno notizie abbastanza interessanti e che non suscitino il biasimo generale, oggi vi racconterò la storia banale di una persona banale. Una persona che io conosco molto, molto bene.
Inizierò la prima parte parlando della sua primissima infanzia da Fantozzi al femminile, concentrandomi sui fatti salienti di questo periodo “particolare” della sua vita. Fu allora che capì che la vita, per lei, non sarebbe stata assolutamente facile.
“E’ nata in inverno e subito le cose cominciarono ad andare male. Nevicava che dio la mandava, le strade erano più bianche del monte Bianco, gli spazzaneve non passavano e suo padre aveva tirato giù santi e madonne di ogni religione e in ogni lingua umana per andare all’ospedale. In poche parole, manco si era resa conto di essere venuta al mondo che già portava sul di sé molte colpe.
Appena nata aveva la faccia rattrappita come quella di una vecchia di trecentocinquant’anni, i capelli neri ed ispidi come mangrovie del sudest asiatico e miagolava debolmente come un gatto bagnato di urina di ubriaco finito sotto la macchina dello stesso. Ma del resto non era stato facile per lei rimanere rinchiusa per nove mesi in un pancino grande quanto il suo!
Appena tornata a casa, capì subito come stavano le cose. A prendere le sue difese e le sue cure una donnina piccola piccola e rugosa quanto lei. Le dava da mangiare, le cambiava i pannolini quando li riempiva di suoi prodotti privati e la faceva addormentare di notte quando i portatori di patria podestà sicuramente urlavano dentro di sé perché quella cazzo di bambina non stesse mai zitta. I bambolotti non piangono mai!
La donna che per legge era sua madre, era veramente molto paciosa. Le dava da mangiare, ma lo faceva in modo scazzato e goffo. E visto che lei aveva capito con chi aveva a che fare, per ripicca le ruttava sempre in faccia. E visto come ruttano i bambini, ogni volta la inondava di latte acido e semi-digerito. Lei, la portatrice legale di maternità, quando questo accadeva urlava più di lei quando aveva il pannolino pieno di popò. Sempre per ripicca, quando lei le cambiava i pannolini, emetteva dei forti e puzzolentissimi scorreggioni, che ancora oggi ci si chiede come una neonata potesse scorreggiare così odorosamente.
Il portatore maschio di podestà genitoriale era diverso. Quando non era incazzato con sé stesso e con il mondo per il semplice fatto che il mondo esisteva, giocava con lei. Una volta fece faville. E fu il momento più felice della sua primissima infanzia. Fino a quando, in un eccesso di entusiasmo, non le fece battere una violenta teschiata contro il lampadario. Sul momento tacque. Poi proruppe con un grido da guerriero unno che sconquassò tutta la casa. Per fortuna non fu niente di grave. Una gran teschiata sulla fontanella.
Finì così il suo primo anno di età.”
Fine prima parte.
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