Visto che sembra che i miei racconti abbiano un certo "successo", ho deciso di pubblicarne altri. Ne ho una cifra! Molti, specialmente quelli dal 1991 al 1994, sono andati perduti. Il più vecchio risale al 1995. Questo, se non erro, è del 1998. E guarda caso è ambientato a Dublino (già allora avevo la mania dell'Irlanda :-P).
Avevo 17 anni, ero idealista, visionaria, sognatrice e ingenua quando lo scrissi. Divoravo al ritmo di uno/due la settimana, romanzetti gialli, storie di fantasmi, i libri di Anne Rice e di Stephen King (senza contare gli altri). Quindi l'influenza di questi autori si sente, mischiata ad una buona dose di fantasia adolescenziale e ingenua che li rende particolarmente adatti ad un pubblico adolescenziale.
A voi i giudizi. I miei li tengo per me!
L’ANGELO VENDICATORE
Abyssus abyssum invocat!*
“Mary, vieni giù a fare colazione, o farai tardi a scuola!”.
“Preferirei non frequentare più quella dannata scuola!” disse Mary, allacciandosi le scarpe.
Mary Mitchell non era certo la classica ragazza popolare. Quindici anni, era piuttosto sciatta e chiusa in se stessa, cosa che le impediva di fare amicizie e quindi la costringeva a rimanere sempre a casa da sola. L’unica sua amica sincera era Helen, timida quanto lei. Una sola cosa Mary le invidiava: era sempre circondata da ragazzi. Non che fosse bella, ma aveva un modo di fare che ispirava simpatia al primo colpo. Mary, invece, non parlava mai con nessuno e i maschi la snobbavano.
Fece una colazione veloce e si incamminò, tranquillamente, verso la fermata del bus. Faceva un freddo cane quella mattina, ma Mary camminava a passi lenti, nella speranza di perdere l’autobus e quindi di rimanere a casa. Non aveva ancora fatto un’assenza dall’inizio dell’anno, poteva anche permettersi un giorno di vacanza.
Avrebbe fatto di tutto pur di non tornare in quella scuola. La odiava, ma sopra ogni cosa odiava Marla Ants e le sue amiche. Si divertivano a fare scherzi a tutte le sue compagne, ma i più cattivi li facevano a lei. L’avevano eletta ufficialmente lo zimbello della classe, e come tale la facevano sempre sentire. Non perdevano mai occasione per umiliarla, picchiarla, per farle un’infinità di scherzi, a volte anche molto pesanti. Una volta le sparsero della polvere urticante nella maglietta, rompendole pure la catenina d’oro, regalo della sua povera zia. Un’altra volta Marla le aveva rovesciato nella cartella della cioccolata per poi deriderla dicendo: “Assomiglia tanto alla merda che sei tu!”. Parecchie volte le erano spariti dei soldi, mai grandi somme, ma che comunque le servivano per i suoi piccoli acquisti, obbligandola a rinunciavi. Avrebbe dovuto reagire, ribellarsi, come facevano tutte. E lo aveva pensato più volte, ma non ce la faceva. I suoi genitori le avevano sempre insegnato ad abbassare la testa, e lei lo faceva. Anche perché era una vigliacca, una nullità. A volte si chiedeva perché fosse nata.
L’autobus si fermò, facendo stridere i freni. Mary salì con passo incerto e con il cuore in gola, pronta ad iniziare una nuova, terrificante giornata scolastica. Occupò l’ultimo posto libero sul pullman, scatenando le ire di una ragazza che assertiva di averlo visto prima lei. Mary, per non litigare (soprattutto perché la ragazza in questione era molto più grossa di lei), le lasciò il posto. L’autobus partì, facendola cadere rovinosamente sul pavimento sudicio del mezzo e provocando le risate di tutti i presenti. La giornata iniziava proprio bene!
C’era una nebbia molto fitta. La visibilità era scarsa. L’autobus procedeva lentamente, fendinebbia accesi, attraverso le strade di Dublino. Spesso si fermava e rimaneva in coda, a causa di molti paurosi che non erano capaci di guidare con la nebbia. Mary, speranzosa, guardò l’orologio: erano le 8:25. Le lezioni iniziavano sempre alle 8:30. Sarebbe sicuramente arrivata in ritardo. Poco male, pensò, quella stronza di Marla rimarrà sicuramente a casa ed io avrò una giornata tranquilla.
Non fu così. Non appena Mary mise piede fuori dal mezzo, Marla era li, vestita da cubista come al solito, insieme alle sue amiche. La ragazza cercò in tutti i modi di non farsi vedere, mischiandosi tra la folla, ma lei la scorse lo stesso. Le si avvicinò, provocatoria. Le baciò la guancia destra, lasciandole il segno del suo rossetto color mattone. Un gesto di scherno. “Ciao, vergine Maria” iniziò “sento che oggi sarà una giornata molto divertente!”.
II.
“Credo che oggi Marla e company siano sul piede di guerra” sussurrò Helen “dobbiamo stare molto attente”.
Mary la guardò con la coda dell’occhio. Era sempre la stessa: trucco pensante, vestiti attillati, scarpe con la zeppa. Evidentemente si sentiva affascinante conciata in quel modo, e non si rendeva conto di quanto i ragazzi più grandi la considerassero ridicola, anche se decisamente sexy. Ecco perché tutti accettavano di andare in bagno con lei. Se solo Mary fosse stata aperta come lei! Almeno avrebbe potuto parlare, uscire con un ragazzo, una volta nella vita. Ma ormai si era arresa a rimanere vergine per sempre!
“Se solo…lasciamo stare” e distolse lo sguardo. Marla si era accorta che la stava guardando.
Noncurante dello sguardo della professoressa puntato su di lei, la ragazza cominciò a borbottare qualche cosa a Loreen, sua compagna di banco. Sussurrava e la guardava. A Mary si gelò il sangue nelle vene: stavano sicuramente preparando un altro scherzo da farle. Marla prese un foglio, cominciando a disegnarci sopra qualche cosa. Mary continuava a guardare di soppiatto cercando di capire, dai movimenti delle sue mani sulla carta, che cosa stesse architettando questa volta.
“Signorina Marla Ants, che cosa state facendo te e la tua amica?”.
Marla sussultò, nascondendo più in fretta che poteva il foglio che aveva sul banco. “Nulla signora. Stavamo solo prendendo appunti” si difese lei, ridacchiando.
La professoressa le guardò severa. “Vedete di piantarla di fare giochetti e state attente alla lezione. I vostri voti sono peggiorati ultimamente”.
“E sai a me che cazzo me ne frega” sussurrò a fior di labbra Loreen.
“Hai ragione” le fece eco Marla “a noi non interessano i voti che ci dai, stupida puttana!”.
Mary cercò di stare attenta alla spiegazione ma si sentiva osservata. Erano i loro occhi che la scrutavano, la deridevano, silenziosi. Quando si girò ancora verso di lei, Marla le rivolse un sorriso malvagio, mostrando i denti gialli e cariati. Pose ancora gli occhi sul foglio, continuando a scrivere qualche cosa. Anche Helen, Sylvia e Paula stavano guardando nella stessa direzione. Nessuna di loro sembrava aver voglia di ascoltare la lezione. Ormai era chiaro: quelle streghe stavano progettando sicuramente qualcosa di grosso ai loro danni.
III.
“Stanno progettando di farci uno scherzo fuori dalla scuola, ne sono sicura” ipotizzò Paula, passeggiando nervosamente avanti e indietro.
“No, non credo”.
“Invece si, Helen” azzardò Mary. “Ultimamente la preside le tiene sotto controllo, dopo che hanno picchiato quelle ragazze del secondo anno. Fare uno scherzo all’interno delle mura scolastiche, significherebbe l’espulsione!”.
“E questo non lo vogliono, altrimenti non potrebbero farci più quegli scherzi crudeli che ci fanno in continuazione!”.
“Oh meglio, perché il padre di Marla la gonfierebbe di botte!” ironizzò Sylvia. Tutte risero.
“Ma è già uscito di galera?” domandò Helen. “Non doveva scontare altri tre mesi?”
“E’ uscito per buona condotta, ma non rimarrà fuori a lungo” ribadì Paula. E risero ancora tutte insieme.
Perché Marla, Loreen, Sabina e Rita si erano accanite tanto con loro? La risposta era semplice: il loro rendimento scolastico. Sylvia otteneva sempre A+ in tutte le materie, Paula era bravissima in matematica e inglese mentre Helen era un asso in chimica. Anche Mary era molto brava, ma per lei era diverso: loro la odiavano con tutte le loro forze, la trovavano ripugnante, meschina e malsana. L’avrebbero uccisa, fatta sparire per sempre dalla faccia della terra, se solo ne avessero avuto i mezzi. Mary non capiva il perché di tanto astio nei suoi confronti, in fondo non aveva fatto loro nulla di male. Forse era il suo viso smunto e brufoloso a destare disprezzo, forse il suo modo di vestire tanto sciatto e fuori moda, la sua timidezza oltre ogni limite, il suo modo di essere così dolce e remissiva con tutti. Forse era quello, ma Mary era sicura ci fosse dell’altro sotto, anche se non sapeva che cosa.
La campanella trillò allegramente, facendo capire che l’intervallo era concluso. Tutti gli studenti si diressero tranquillamente nelle loro classi, mentre i professori si apprestavano a finire di fumare le loro sigarette. Mary e le sue compagne presero velocemente i loro posti, nell’attesa dell’insegnante di matematica. Anche Marla e le sue amiche si accomodarono disordinatamente sul banco, confabulando e fissando Mary con fastidiosa insistenza.
La professoressa consegnò i compiti a tutti e Marla, come al solito, prese F. Non era turbata, al contrario. Ridacchiava e canticchiava sottovoce la sua ennesima sconfitta scolastica, dicendo che avrebbe comunque mollato e che della scuola gliene fregava meno che niente. Se solo se ne fosse veramente andata!
IV.
Era l’una: la nebbia si era diradata e un pallido sole autunnale cominciò a splendere pigro sull’istituto. Le lezioni finirono prima: l’insegnante di fisica si era sentito poco bene e aveva avvertito che non avrebbe tenuto la lezione pomeridiana. Tutti si erano precipitati come fionde fuori dalla scuola, felici di non doversi sorbire due noiosissime ore di fisica.
Mary e le sue amiche, però, uscirono per ultime. Helen, come al solito, ci aveva messo una vita a preparare la cartella. “Allora muoviti” urlò Paula “non vedi che ore sono?”.
“Un attimo, non trovo l’astuccio” lamentò Helen.
“Lo hai già messo via, tonta! Forza andiamo”.
“E il quaderno di matematica?”
“E’ stato il primo che hai messo via, rintronata”
“Il quaderno di biologia”
“Oggi non abbiamo avuto biologia, svegliati!”
Quando se ne andarono anche loro, tutto era silenzioso. Si avviarono a grandi passi verso la fermata degli autobus, trascinandosi dietro Helen che era lenta come una lumaca.
“Speriamo di non aver perso l’autobus” disse Sylvia “i miei torneranno a casa tardi oggi. Non mi va di fare
“Non preoccuparti” la rassicurò Mary “lo sai che arriva sempre in ritardo!”.
Helen emise un urlo, cadendo rovinosamente al suolo. “Helen, ti sei fatta male?”.
“No. Sono inciampata in qualche cosa”.
“Sei inciampata nei tuoi stessi piedi, fessa!”.
Tutte si girarono verso la voce. Marla e le altre le stavano guardando, divertite. Nel giro di un attimo le accerchiarono, cominciando a lanciar loro addosso sassi e fango. Mary cercò di coprirsi il viso, mentre una valanga di pantano le ricadeva da ogni angolo e la ricopriva da capo a piedi. Osservò Helen e vide che stava sanguinando da un occhio: l’avevano colpita con un sasso appuntito.
“Brutte stronze, questa volta la pagherete!” la voce di Sylvia era colma di odio come non lo era mai stata prima.
“Ah si” la canzonò Marla “voglio proprio vederti, stupida ameba che non sei altro!”.
Il fango continuava a piovere loro addosso. Marla rideva, rideva, senza sosta. Mary cominciò a provare un odio fortissimo e implacabile nei loro confronti: adesso avevano veramente oltrepassato ogni limite. Come potevano essere tanto meschine e crudeli? Possibile che non riuscivano a capire che quel comportamento era stupido ed infantile? Ma in fondo, chi avrebbe fatto loro del male? Avevano meno di quindici anni e, quindi, non erano imputabili. E poi non stavano facendo niente che poteva essere punito dalla legge.
“Adesso basta, non vi siete divertite abbastanza?” domandò Mary.
“Taci vergine Maria. Io con te e le tue amichette deficienti faccio quello che voglio. Siete solo un branco di capre al pascolo, pesci lessi, cretine!”.
La tortura durò dieci minuti. Helen aveva una brutta ferita all’occhio: sarebbe stata costretta ad andare all’ospedale. Tutte quante erano coperte di fango da capo a piedi. L’autobus era ormai andato e le quattro ragazze furono costrette a tornare a casa a piedi, sporche, infreddolite e umiliate come nessun essere umano lo era mai stato in tempi moderni.
Visto che l’occhio di Helen non cessava di sanguinare, le altre decisero di accompagnarla all’ospedale. Mary non le seguì, preferendo tornare a casa. Stava troppo male per poter sopportare anche uno sguardo umano, ed era troppo triste per riuscire a trattenere le lacrime che le salivano rapidamente in gola. Voleva solo rinchiudersi in camera sua, a piangere in privato.
“Mary, per l’amor di Dio, ma che cosa ti è successo?” domandò preoccupata sua madre. “Sei coperta di fango da capo a piedi!”.
“Non ne voglio parlare. Io vado a farmi un bagno: se mi cerca qualcuno, fatti dire chi è e di che richiamerò io più tardi”.
V.
“Helen ha riportato una brutta ferita all’occhio: le hanno dato tre punti”. La voce di Paula era triste e rotta dal pianto. “Perché Mary, perché ci odiano tanto? Che cosa le abbiamo fatto?”.
Torturando il filo del telefono con l’indice, Mary non sapeva rispondere.
“Non credo che tornerà ancora a scuola, dopo quello che è successo: i suoi genitori erano furibondi. Hanno fatto una scenata da tragedia greca alla preside e hanno giurato che non l’avrebbero più mandata in una scuola pubblica. Da quanto mi ha detto Helen, credo la vogliano spedire in una scuola di suore”.
“Dove?” domandò Mary.
“Non lo so non hanno ancora deciso. Sicuramente lontano da qui”
Ci fu un attimo di silenzio. Mary continuò a torturare il filo del telefono, fino a quando le dita non le divennero rosse. Sentiva che la voce voleva andarsene via, per lasciare il posto alle lacrime.
“Tu che cosa hai intenzione di fare per domani, Paula?”.
“Non lo so proprio. I miei genitori hanno sporto denuncia, ma non so che cosa otterranno. Non credo, però, che decideranno di mandarmi in un’altra scuola”
“Domani verrai a scuola?”.
“Certamente. Sarebbe una doppia umiliazione non farsi vedere, vorrebbe dire che sono stata sconfitta, ma non è vero. Ci vediamo domani allora. ‘Notte Mary”.
“’Notte Paula”.
Mary riagganciò il ricevitore. Si mise il viso in mezzo alle ginocchia, cominciando a piangere. Non ci poteva credere: aveva perso Helen, la sua migliore amica, confidente, l’unica che la capiva veramente. “E’ tutta colpa di quelle luride streghe” gridò Mary. Era furibonda. “Non solo mi hanno derubato della mia dignità umana, ma mi hanno fatto perdere un’amica. Quanto vorrei che morissero tutte, quanto vorrei che venissero torturate nei modi più atroci ed uccise senza pietà.”
Mary avvertì una strana risata provenire dalla sua testa. Non sapeva dire che cos’era, ma non era certo sua. Forse, rifletté lei, forse sono un po’ stanca.
Si cambiò, si infilò sotto le coperte e cercò di addormentarsi, mentre quella malefica risata risuonava ancora nelle sue meningi.
VI.
Quella notte Mary fece un sogno inquietante e spaventoso. Era a scuola, immersa nell’oscurità. C’era Marla, insieme ad un ragazzo, che fumava uno spinello. Parlavano del più e del meno e, ogni tanto, la ragazza faceva cadere il discorso sullo scherzo che le aveva fatto quel pomeriggio. Il ragazzo sembrava essere divertito, così come lo era la sua compagna. Poi Marla si slacciò la camicia e i due cominciarono a pomiciare. Mary distolse lo sguardo, imbarazzata e invidiosa di tanta sicurezza e apertura verso il mondo.
Poco dopo il suo accompagnatore se ne andò, lasciandola sola. Marla lo salutò con un ultimo bacio e si incamminò, tranquilla. Nonostante fosse notte fonda, sembrava non avesse paura di tornare a casa a piedi. Mary la seguì, cercando di scoprire dove stesse andando a quell’ora. Un’ombra sbucò dal nulla, sbarrando la strada alla ragazza. Marla indietreggiò, mettendosi sulla difensiva.
“Si può sapere che cazzo vuoi stronza?” imprecò, estraendo un coltellino svizzero dalla tasca destra della giacca. “Vedi di andare fuori dalle palle, se non vuoi trovarti un bel ricamino sulla faccia!”.
Con tutta risposta, la misteriosa figura le afferrò il braccio, facendole cadere la piccola arma. Marla gemette per il dolore, cercando di liberarsi dalla stretta. “Si può sapere che cosa vuoi da me? Che ti ho fatto? Non ti conosco nemmeno!” nelle sue parole si leggeva la paura, un sentimento che Mary credeva non fosse conosciuto dall’odiata compagna di classe.
“Sai benissimo che cosa hai fatto!” rispose una voce femminile, composta, fredda. “Adesso la pagherai cara. Nessuno offende una mia discendente senza venire punita”.
“Che cosa?” domandò lei.
La figura scaraventò la ragazza a terra, cominciando a prenderla a calci nelle reni. Lei gemeva, strisciava con i gomiti per terra, ma non riusciva a fuggire. Un rivolo di sangue cominciò a colare dal suo naso, lungo il mento. “Ti prego, lasciami stare” implorò Marla, “se mi dici chi ho offeso, posso rimediare. In fondo, non sono poi così cattiva come sembro”.
Lei non l’ascoltò. Estrasse un’arma che Mary non riconobbe e la colpì. Più volte. Piccole gocce di sangue schizzarono sul muro di mattoni rossi della scuola. La colpì ancora: al viso, all’addome, alla schiena, sulle braccia. Marla urlava, chiedeva aiuto, ma nessuno la poteva sentire. La figura misteriosa la colpì ancora, tagliandole di netto la mano sinistra. Mary si accasciò per terra, terrorizzata, impietrita: che cosa stava succedendo? La stava torturando barbaramente senza motivo. La misteriosa presenza si fermò di scatto ritirando l’arma: ormai non serviva più, Marla era morta. La figura, rimanendo nell’ombra, la colpì ancora con un calcio, ridendo.
Mary si svegliò di soprassalto, il cuore le martellava nel petto, le mani le tremavano. Guardò la sveglia: erano le cinque del mattino.
“E’ stato solo un incubo” disse “Marla è una strega, ma non si merita certo un trattamento simile!”.
Si coricò di nuovo, ma non riuscì più a dormire.
VII.
Pioveva forte. Una pioggia pungente, fastidiosa, fredda. L’autobus arrivò comunque in orario, scaricando il suo carico urlante e festoso.
Appena scesa, Mary notò una piccola folla radunata vicino al muro della scuola e le auto della polizia parcheggiate davanti all’ingresso. Vide la preside parlare animatamente un poliziotto, il volto sconvolto. Paula e Sylvia le corsero incontro allarmate, scosse, stravolte.
“Che cosa è successo?” domandò incuriosita.
“Stanotte hanno ucciso Marla. Dovresti vedere com’è ridotta: ha ferite su tutto il corpo, un vero orrore”.
Mary rimase impietrita dal terrore: allora il sogno che aveva fatto… Non voleva pensarci, non poteva essere vero. Corse verso la piccola folla, sgomitando senza chiedere permesso. “Forse sto ancora sognando: adesso sentirò suonare la sveglia e sarà tutto come prima!”.
Marla giaceva supina, in un lago di sangue. Gli occhi sbarrati, privi di espressione, il volto tumefatto, il corpo dilaniato. Indossava gli stessi vestiti che aveva visto nel suo sogno, le stesse scarpe. La mano sinistra non c’era: amputata di netto. Mary cercò di trattenere i conati che la stavano invadendo, allontanandosi più in fretta che poteva.
“Non, è vero, non può essere vero” cominciò a dire. “Dio, dimmi che non è vero. No sono stata io!”.
Paula l’abbracciò, cercando di calmarla. “Ma certo che non sei stata tu, che cosa ti sei messa in testa! Sicuramente è stato qualche maniaco che ha cercato di violentarla e quando ha visto che non ci stava l’ha torturata e uccisa. Queste cose capitano all’ordine del giorno e oggi è capitato a lei”.
Mary sapeva che non era così. Qualcosa l’aveva uccisa. Un’entità misteriosa che, senza volerlo, lei aveva evocato con il suo risentimento.
“Vado un attimo in bagno, non mi sento per niente bene”.
“Vuoi che ti accompagni?” domandò Sylvia.
“No grazie, faccio da sola”
VIII.
L’acqua scorreva nel lavandino, un rumore che Mary gradiva. Si bagnò il viso e le mani, cercando di riprendersi. Ma la cosa era veramente difficile. Era sconvolta dalla paura, il suo viso era bianco come la carta, le sue labbra non smettevano di tremare.
“Signore, ma cosa sta succedendo?”
Non era più sola. C’era qualcuno con lei, una presenza che Mary non gradiva. “Ti è piaciuto il mio lavoro Mary?”.
Al suono di quella strana voce che sembrava familiare, la ragazza si girò di scatto. Si trovò davanti ad una giovane donna, all’apparenza umana. Era completamente vestita di nero, un vestito di foggia antica, i capelli corvini, gli occhi azzurro ghiaccio. La fissava sorridendo. Ma la cosa più sconcertante era che quella donna aveva il suo stesso volto. Era lei…
“Chi, o meglio, che cosa sei tu? Perché hai ucciso Marla?”.
“Me lo hai ordinato tu” rispose la figura “non ricordi?”.
“Io non ti ho ordinato un bel niente. Rispondi alla mia domanda piuttosto”.
“Diciamo che io sono una specie di antenata, o forse anche un tuo doppio” spiegò “diciamo che prima di rivivere in te ho già vissuto, in anni non certo propizi, imparando a sopravvivere grazie a certi trucchetti che poi ho messo a servizio dei miei discendenti. Erano cinquecento anni che nessuno mi invocava più, fino a ieri sera. Ti ringrazio sai? Cominciavo ad annoiarmi”.
“Non ti ho invocata”.
“Certo, in modo implicito si intende. Hai detto che avresti voluto vederle morte, torturare barbaramente e uccise, o sbaglio?”.
“Si lo ammetto, ma non stavo dicendo sul serio! Ero..ero sconvolta”.
“Sul serio o no, ora mi hai risvegliato e porterò a termine il mio compito, che tu lo voglia o no. Loro stanno preparando un altro scherzo, ma questa volta sarà l’ultimo”.
La donna sparì in una nuvola di fumo bianco lasciandosi appresso uno strano odore di morte. Era di nuovo sola in bagno. Mary cominciò a tremare convulsamente. “Mio Dio, devo fare qualche cosa!”
Con tutte le forze che aveva, corse fuori da quel posto e dalla scuola. La situazione era grave. Doveva stare lontano da quelle vipere, impedire loro di architettare altri scherzi ai suoi danni, o sarebbe stata la fine. Forse avrebbe potuto evitare l’inevitabile.
Arrivò di corsa nel cortile, dove la folla non si era ancora diradata. Adesso arrivavano curiosi anche da fuori. Le sue amiche videro il suo pallore cinereo, ma non se me curarono tanto. Dopo quello che aveva visto, era più che normale essere scioccati. Persino la Garda[1] era senza parole.
IX.
“Possiamo anche tornare a casa, oggi non c’è scuola” sospirò Sylvia.
“Ragazze, io ho paura: e se ci fosse in giro un serial killer?”.
“Non dire stupidate Paula, non c’è nessun serial killer. Marla non viveva in modo molto pulito: probabilmente avrà fatto uno sgarro alla persona sbagliata. O magari un regolamento di conti: suo padre aveva messo i bastoni tra le ruote ad un pezzo grosso della malavita organizzata”.
“Come fai a saperlo?” domandò Mary.
“L’ho letto da qualche parte!”
“Può darsi che tu abbia ragione, ma io ho paura”
Le due ragazze chiacchieravano animatamente, tranquille, ma Mary non ne aveva voglia. Odiava quelle ragazze, ma non voleva vederle morte. Loro non lo sapevano, ma erano in grave pericolo. Se solo avesse potuto avvertirle…
“Ragazze, aspettate!” era la voce di Rita, una delle tre.
Paula si girò di scatto. Le si avvicinò, la squadrò. Sembrava sul punto di volerla picchiare.“Che cazzo vuoi rompipalle?” imprecò. “Vuoi forse farci uno scherzo? Sappi che non siamo in vena oggi!”.
“No, volevo solo chiedervi scusa per ieri!”.
“Che cosa? Tu che chiedi scusa a noi?”.
“Lo so che vi sembrerà strano, ma è così. Non sono mai stata d’accordo con Marla e le altre due, ma se non facessi quello che vogliono loro…” Rita cominciò a piangere. “…Se non facessi quello che vogliono loro me la farebbero pagare. Direbbero in giro a tutti quello che faccio dopo la scuola, del mio lavoro. Appartengo a una famiglia ammirata e stimata da tutti e questo la rovinerebbe”.
“Se non sono inopportuna, che cosa fai dopo la scuola?”
“Faccio le pulizie in casa di una prostituta” fu la sua risposta. “E’ un lavoro onesto e lei è una brava persona. La mia famiglia ha bisogno di soldi e non posso lasciare quel lavoro. Se si sapesse in giro, però, sarebbe molto umiliante per me e i miei cari. La gente è ancora così bigotta nel mio quartiere”
“Ed è meglio che comincino a sentirsi umiliati, perché noi diremo tutto!”.
Loreen e Sabina se ne stavano ferme in mezzo al vialetto, con le mani sui fianchi. “Ma brava la piccola Rita, si è confessata con le amebe. E adesso farai la figura della ruffiana davanti a tutti!”.
Sabina le diede un forte schiaffo. Rita cadde a terra. Paula le si avvicinò, aiutandola a sollevarsi.
“Lasciatela in pace!”.
“Da quando i pesci lessi proteggono le ruffiane?” pronunciò Loreen. “Vedi di farti gli affari tuoi cervellona!”
E le diede uno spintone.
Sabina estrasse un coltellino, facendo indietreggiare Paula, spaventata. “Che intenzioni hai?”.
“Datemi tutti i soldi che avete in tasca oppure vi affetto, non sto scherzando!”.
“Vi conviene obbedire, capre al pascolo” le fece eco l’altra.
Un fumo biancastro cominciò a sgusciare da dietro un albero, avvicinandosi sempre di più. Le mani di Mary cominciarono a sudare, come la sua fronte. È qui, pensò, devo fare qualche cosa.
Le ragazze incalzarono.
“Allora, questi soldi? Guardate che stiamo facendo notte!”.
“Lascia stare, non ce li daranno mai di loro spontanea volontà. Prendiamoceli noi!”.
Loreen e Sabina si avvicinarono, cominciando a rovistare nelle loro tasche, nelle loro borse. “Piantatela!”.
“Vi prego” implorò Sylvia “lasciateci in pace!”
“Stai zitta cretina!”.
Sylvia cominciò a piangere disperatamente. Paula cercava di difendere il portafoglio dalle due vipere, inutilmente. Glielo strapparono di mano, con violenza, svuotandolo del suo misero contenuto di venti sterline.
“Mah, che miseria! Appena sufficiente per comprare il fumo” esclamò delusa Loreen. “Però bella la catenina che hai al collo. Credo che si possa fare un bel po’ di grana con quella”
“Lasciala stare!”
Loreen le diede un calcio nello stomaco. Paula cadde a terra, boccheggiando. Lei ne approfittò per strapparle il ninnolo dal collo.
“E adesso è mia!”
La nube minacciosa prese forma umana, lentamente. Ora era proprio molto vicina. Istintivamente, Mary afferrò saldamente il braccio di Loreen.
“Vi prego smettetela” implorò “non sapete che rischio state correndo. Lasciateci in pace, o sarà peggio per voi”.
“Da quando ti permetti di farci delle prediche Mary?” si liberò della sua morsa. “Adesso te la faccio pagare cara!”.
“No, sono io che ve la faccio pagare cara!”.
“Oh Signore!”
Un’ascia, o qualcosa di simile, fendette l’aria, colpendo la schiena di Loreen, facendo schizzare in aria il suo sangue. La ragazza si accasciò, dolorante, al suolo.
“Qualcosa…mi…ha….mi fa male! Aiuto!”.
Sabina si girò, urlò. La cosa colpì anche lei, al petto, al volto, su tutto il corpo.
Mary e le altre ragazze rimasero impietrite, terrorizzate, attonite.
“Chi diavolo è quella?”.
Il sangue cominciò a schizzare da tutte le parti, bagnandole. Rita era li, ferma e immobile, gli occhi sbarrati e terrorizzati, ad osservare la scena.
“Scappiamo” urlò Mary “andiamo a chiamare la polizia presto”.
Aiutarono Rita ad alzarsi e corsero più che potevano verso il centro cittadino.
X.
Quando la polizia arrivò sul luogo del misfatto, era ormai troppo tardi. Sabina e Loreen erano ormai morte. Fatte letteralmente a pezzi, ancora peggio di Marla. Di Sabina non si poteva più distinguere il volto mentre le viscere di Loreen erano tutte sparse per il sentiero asfaltato. Mary era li, di fronte a quel set da film dell’orrore, con lo stomaco in subbuglio e in preda a forti contati di vomito e rimorso. Non l’avevano ascoltata, ed erano morte. Era colpa sua, ma chi le avrebbe creduto?
Adesso era stata, per così dire, “vendicata”. Quella cosa aveva compiuto il suo dovere ed era sparito, ma sarebbe stata un’illusa se avesse creduto che quel dannato spirito fosse sparito per sempre. Lei giaceva nel suo subconscio, pronta ad essere liberata. Era brutto, terribile da dire, ma quel demone era lei. La sua parte oscura.
“Non ci posso credere” farfugliò Mary, nel tornare a casa. “Sono succube anche del mio cervello! Sono proprio una povera cretina, uno zerbino per il prossimo!”
Tornò a casa verso le cinque del pomeriggio, si richiuse in camera e cercò di non pensare a nulla, per evitare altri disastri. Ne aveva combinati troppi. Era di gran lunga meglio farsi maltrattare da quelle là che vivere con quel rimorso nel cuore. Una colpevole innocente, perché nessun giudice sano di mente l’avrebbe accusata d’omicidio (al massimo l’avrebbe giudicata incapace di intendere e di volere).
Il giorno seguente, tutti i giornali riportavano la notizia. Una pazza, secondo gli inquirenti. I suoi genitori avevano deciso di trasferirla altrove, in un collegio, forse lo stesso di Helen: avevano paura. Come il milione e trecentomila abitanti della città. Mary però non aveva dubbi: la “cosa” non sarebbe più ricomparsa, almeno che non l’avesse di nuovo svegliata con il suo risentimento.
Novembre 1998
4 comments:
Speravi di esserti liberata di me, vero? Ed invece sono ancora qui! :D
Scherzo... ;)
Anzi scusa per l'assenza degli ultimi due giorni ma venerdì sono crollato per la stanchezza appena arrivato a casa e ieri sono stato tutto il giorno a zonzo per vedere Transformers. :)
Tornando a noi.
Racconto ben strutturato e ben scritto, con una storia di vita quotidiana a cui si mischia l'orrore oltre l'ordinario. L'atmosfera fra l'onirico ed il realistico, ovviamente a tinte nere, ricorda per molti versi lo stile di un albo di Dylan Dog... anzi, alla fine non mi sarei stupito di vederlo comparire! :D
Interessante il personaggio principale: mi ha ricordato per certi versi Samantha, la licantropa di cui ti avevo accennato in separata sede, se non per il rapporto diverso in cui le due decidono di porsi con la vendetta ed il mezzo per ottenerla. Mary non è felice della sua maledizione e cerca di fare di tutto per impedire le morti. Sam, al contrario, abbraccia con anima e corpo la via della vendetta non solo per i torti da lei stessa subiti ma per i torti di chiunque nel mondo, utilizzando la sua maledizione come una sorta di dono.
Interessanti anche i personaggi comprimari ed antagonisti, anche se queste ultime finiscono - nella brevità dell'opera - per non essere approfondite, lasciando il lettore nell'ignoranza delle ragioni delle loro azioni (almeno non ad un livello superficiale). Non che fosse essenziale questo approfondimento... sia chiaro. La storia si regge benissimo in piedi così.
Non capisco ancora una volta perché sminuisci le tue opere "giovanili" (virgolette d'obbligo): sono assolutamente piacevoli nella lettura e comunque affrontano sempre e comunque dei temi, permettendone una riflessione sopra (in questo caso il tema della vendetta). Dovresti cercare di rivalutarti un poco ai tuoi stessi occhi! ;)
Hai mai scritto un "sequel" a questo racconto?
@ombre: ti ringrazio molto per il tuo commento. Sempre positivi a quanto vedo. Ad ogni modo, anche una mia amica mi aveva chiesto se mai avessi scritto un sequel di questo racconto, ma a me non piacciono i sequel, perchè raramente sono all'altezza del primo! E poi scusa, pensaci: come potrebbe essere il sequel di questo racconto? Uguale nella trama e nelle sitazioni rispetto a questo. Più o meno. Meglio lasciar perdere!
Forse la richiesta di sequel nasce in maniera spontanea dopo la lettura di questa storia perche' ha veramente tanto il sapore di un episodio pilota, del prologo di una vera e propria serie incentrata sulle avventure della protagonista e della sua maledizione.
Pero' questo poi dipende dai gusti... la serializzazione delle storie ad alcuni piace veramente tanto (a me per esempio, soprattutto quando trovo dei bei personaggi di cui voglio continuare a seguire le vicende), mentre altri storcono il naso.
Scusate il ritardo.
Molto particolare questo racconto: un giorno qualunque della vita di una ragazza qualunque che si trasforma in un vero e proprio incubo. Mi è piaciuto molto il personaggio di Mary, una ragazzina alle prese con una società da cui si sente emarginata.
Il modo semplice con cui è scritto il racconto spinge il lettore a leggere tutto d'un fiato, incuriosito anche dall'iniziale sconnessione tra il titolo e la prima parte del racconto.
Per quanto riguarda i sequel, devo dire che anche a me non piacciono molto, anche se ci sono le dovute eccezioni.
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